Come una storia

You Make Me Simile – Prompt:

Scrivi una storia che includa una similitudine.

A Milano la metà di novembre coincideva con l’inizio del periodo della nebbiolina e dell’umidità. Miliardi di goccioline bagnavano il suolo e i capelli dei passanti, ma soprattutto regalavano alla città un’atmosfera spettrale1.
Una sera, una macchina si muoveva per le brillanti strade cittadine, tra le auto frettolose di andare in qualche posto. Del resto, anche l’auto in questione apparteneva a qualcuno che aveva premura di arrivare.
“Mi spiace Andri,” disse Lalore con le mani aggrappate volante, “è colpa mia se siamo in ritardo. Ho perso davvero troppo tempo a prepararmi.”
“Non devi scusarti di nulla. E poi, stai benissimo stasera,” le disse Andreas sporgendosi a darle un rapido bacio sulla guancia.
“Ma voi sapete perché ci incontriamo, stasera?” chiese Fumagalli, seduto sul sedile posteriore.
Lalore lo guardò dallo specchietto retrovisore:
“Mi pare che la partenza di Phil per la sua tournée a New York con la band sia vicina: forse è un modo per salutarlo tutti insieme e augurargli buona fortuna. Oh, di nuovo,” disse mentre decelerava fino a fermarsi, “questo è il secondo semaforo rosso consecutivo che ci becchiamo.”
“Non preoccuparti,” le disse Andreas, “gli altri non cominceranno senza di noi.”
“Lo so, però mi scoccia essere in ritardo. Insomma, è stata colpa mia, però a farci le spese siete voi e anche gli altri, che dovranno aspettarci.”
“Va tutto bene,” le disse Andreas.
Lalore annuì:
“Spero solo non faremo davvero troppo tardi, con questo milione di semafori rossi che ci stiamo beccando.”
Seguirono altri due incroci, entrambi con il rosso.
“Non posso crederci: non siamo proprio fortunati, stasera,” disse Lalore accasciandosi con fare rassegnato sullo schienale del sedile, mentre attendevano il verde all’incrocio.
Il semaforo cambiò colore, ma non a lungo abbastanza perché l’auto dei tre potesse attraversare l’incrocio.
“Non ci voleva proprio questo rosso gruppo di semafori,” mormorò Lalore.
Fumagalli urlò e lei prontamente lo guardò dallo specchietto:
“Tutto ok? Forse la temperatura è troppo calda? Per favore, porta pazienza: tra massimo dieci minuti dovremmo esserci.”
“Tranquilla,” rispose il pavone da dietro, “credo che vada tutto bene.”
La previsione di Lalore si rivelò corretta: dopo una decina di minuti erano nei pressi del ristorante, e avevano preso a girare nelle vie più prossime al locale in cerca di un posto.
“Incredibile,” disse Lalore, “prima la deviazione, poi il semaforo non funzionante, poi l’imbottigliamento, poi un’onda rossa come non s’era mai vista, poi il parcheggio… Ah, quel SUV mi sembra che stia uscendo…”
Dopo il parcheggio, i tre scesero dalla vettura e si avviarono verso il locale.
“Corro a dire che siamo arrivati: non vorrei che ci diano per dispersi,” disse Lalore accelerando il passo.
“Non serve,” tentò di chiamarla indietro Andreas.
“È il minimo, è stata colpa mia,” rispose l’altra voltandosi appena.
Dopo un paio di secondi, Fumagalli e Andreas si guardarono e, quasi all’unisono, dissero:
“Rosso gruppo di semafori…?”
“Davvero,” continuò Andreas, “era risaputo che la Robi non fosse un genio della letteratura e che lasciasse un sacco di refusi ed erroretti qua e là, ma una cosa così sgrammaticata! Cosa diavolo era quella roba?”
“Ora che mi ci fai pensare,” disse Fumagalli, “Lalore ha nominato anche un milione di semafori, che è chiaramente un’iperbole, e ha anche usato una litote, quando ha detto che non eravamo proprio fortunati.”
“E allora?”
“E allora, credo che siamo in una storia che ha a che fare con il linguaggio. Perciò, se fosse così, forse anche quell’espressione sul rosso gruppo di semafori potrebbe essere una figura retorica. E chissà se non ce ne siamo persi delle altre.”
Andreas sospirò:
“Ora che mi ci fai pensare, anche l’anno scorso, in questo periodo, la Robi se ne era uscita con una storia intellettuale. Quella volta pensai che fosse per avere l’attenzione di qualcuno che le piaceva, ma mi sa che è solo una sua bizzarra tradizione.”
Al ristorante individuarono subito il tavolo: Bruna, Billa e Lalore stavano conversando animatamente e il signor Cavalleri stava accanto a loro ad ascoltarle. In realtà, avvicinandosi, videro che ciò che ingombrava il capotavola non era uno scatolone qualsiasi, ma Phil, e che su di esso c’era Ilgeco: entrambi stavano ascoltando le chiacchiere delle tre femmine.
“Ci siamo quasi tutti,” disse Bruna, “manca solo Manuel.”
“Cominciamo a prendere posto,” suggerì il signor Cavalleri, “Billa non è abituata a fare troppo tardi.”
Si accomodarono tutti, lasciando il secondo capotavola libero per Manuel, il quale arrivò dopo un’altra decina di minuti.
“Scusate,” disse trafelato, “sono davvero in un ritardo inqualificabile.”
“Sei in ritardo puntuale,” rispose Lalore, “abbiamo appena aperto il menù.”
Ritardo puntuale,” ripeté Fumagalli ad Andreas, che gli sedeva a destra, “è un ossimoro. Vedi? La Robi sta usando figure retoriche.”
Quasi tutti presero in mano il menù, rigorosamente vegano. Quasi tutti, perché Billa, Fumagalli, Phil, e Ilgeco si trovarono naturalmente impossibilitati a farlo. Dopo l’usuale silenziosa ricerca di un piatto, la conversazione ricominciò. Il primo a parlare fu il signor Cavalleri:
“Manuel, ti vedo stanco.”
“Un po’ di cose da fare al lavoro, nulla di diverso dal solito.”
Ciò bastò al signor Cavalleri, che passò a illustrare a Billa le opzioni culinarie offerte dal ristorante.
“Sei sicuro Manuel?” chiese ancora Lalore chiudendo il menù, “ti vedo stanco e silenzioso.”
“Forse perché, senza offesa, questo menù è arabo per me. Seitan, mopur… Jackfruit?”
Andreas anche guardò l’uomo, senza rispondere, perché la sua conoscenza si fermava al tofu e al tempeh.
Dopo una decina di minuti ebbero tutti ordinato qualcosa, e il signor Cavalleri chiese che ognuno avesse il bicchiere pieno di prosecco. Almeno gli umani.
“Mi fa piacere vedervi tutti qui, perché da quando vi conosco la mia vita è cambiata tantissimo e sono felice come non mi capitava da secoli.”
“Hai sentito?” bisbigliò Fumagalli ad Andreas, “un’altra iperbole.”
“Certo,” continuò il signor Cavalleri, “so bene anche di essere al tramonto della mia esistenza. Però i film e le opere d’arte pittoriche insegnano che il tramonto può essere una delle cose più romantiche della vita. Ed è quello che ha fatto Bruna con il mio: lo ha colorato di tonalità che non immaginavo avrei mai più rivisto. Per non parlare di come mi fa venire voglia di essere un uomo migliore. E così… le ho chiesto di sposarmi e lei ha accettato. Ci sposiamo la prossima primavera.”
Fumagalli urlò e, chi poteva, applaudì l’attempata coppia. Infine, gli stessi capaci di applaudire, alzarono i calici e brindarono.
“Hai sentito?” bisbigliò Andreas a Fumagalli, reggendo in mano un bicchiere con poche gocce di prosecco.
“Sì. Chiaramente quella del tramonto è una metafora, come pure quella dei colori.”
“No, non quello: si sposano! È… non bisogna brindare, ma berci su.”
“Bello, bello, troppo bello,” non smetteva di ripetere Lalore, “Bruna, perché non ci dici come ti ha fatto la proposta?”
“Me l’ha fatta una mattina,” rispose la futura sposa, “avevo passato la notte da lui e mi ero alzata per andare a preparare il caffè. Però non era come le altre mattine: una traccia di petali di rosa partiva dalla porta della camera da letto e conduceva in cucina. E sul tavolo un anello. Un’immagine che porterò sempre con me, dolcissima e musicale.”
“Credo che questa siano un’ellissi e una sinestesia,” disse Fumagalli ad Andreas.
“No: è una condanna,” rispose guardando Manuel, in cerca di supporto. Ma lo trovò con gli occhi trasognati a guardare la coppia di fidanzati.
“A onor del vero, è stata un’idea dei ragazzi,” disse il signor Cavalleri indicando la scatola di Phil, con su Ilgeco e Billa, che proprio in quel momento aveva svolazzato per essere fisicamente insieme agli altri due.
“Siamo una famiglia,” disse Phil, facendo venire gli occhi lucidi a tutti.
A rompere il susseguente silenzio fu Lalore, che si sporse verso Bruna e disse:
“Ma… non vedo l’anello.”
“È in gioielleria. Va un po’ ristretto e ammetto che mi spiace non averlo qui con me in questa bella occasione.”
“Sarà sicuramente pronto per il giorno delle nozze. Conoscete già la data?”
“Il primo giorno di primavera, per un simbolico significato di rinascita.”
A quelle parole Andreas desiderò prendere il collo della bottiglia di prosecco per fare il bis. Ma le portate arrivarono e si distrasse con il cibo.
“Che ne pensi? Questa storia, con tutte queste figure retoriche, è come un ripasso di grammatica,” disse Fumagalli ad Andreas mentre becchettava la sua insalatina.
“Hai ragione: questa storia è un incubo,” poi Andreas scosse la testa, “scusa, non è il caso di essere cinici.”
E così prese a parlottare con gli altri commensali.
Più tardi, poco prima del dolce, una mano si posò sulla sua spalla: era il signor Cavalleri, probabilmente di ritorno dal bagno.
“Tutto bene?” gli chiese l’uomo.
“Sì, certo,” rispose Andreas affabilmente.
Il signor Cavalleri sorrise bonariamente, come solo gli anziani sanno fare. Disse:
“Lo so che cosa pensi: che per quanto sia un vecchio innamorato, resto sempre un vecchio.”
“Penso solo che questa sia una qualche figura retorica. No, non è questo.”
Il signor Cavalleri lo guardò con lo stesso sorriso stampato in volto, come a incoraggiarlo a parlare. Funzionò, perché Andreas spiegò:
“È che penso vi conosciate da poco, e forse è presto per un passo così importante.”
“Solo il futuro potrà dire se questo è un errore e, con i pochi anni che mi restano, forse non vedrò mai la fine di questo sogno che sto vivendo con lei. Il punto è che ho capito di aver trovato una donna speciale e ho deciso di legarmi a lei. E dovresti pensarci anche tu: la tua non è una Lalore qualunque.”
Andreas non disse nulla e lasciò che il signor Cavalleri tornasse al proprio posto, con un sorrisetto non più da vecchio, ma soddisfatto.
“Non è una Lalore qualunque,” ripeté Andreas.
“Questa di sicuro, è un’antonomasia,” disse Fumagalli, “lo so che suona strana perché sembra che abbia sia un articolo indeterminativo che uno determinativo, ma è solo perché lei è Lalore. Lo saprò pur bene, visto che le ho dato io il nome quasi due anni fa.”
Ma Andreas sembrò non badargli e, guardando Lalore di fronte a sé, ripeté ancora:
“Non è una Lalore qualunque…”

  1. Peraltro piacevole.