Chi trova un amico…

The Color of Ideas – Prompt:

Scegli tre colori ed esaminane il loro significato. Usa quindi quei colori per tre personaggi.

Andreas era appena uscito dalle scale della metro. Precisamente, era nella fase di graduale acclimatamento all’oscurità della sera e al primo freddo di quei giorni.
Stava incamminandosi a passo veloce verso casa, quando gli parve di udire qualcuno chiamare il proprio nome. Si voltò e si guardò intorno, ma non riconobbe nessuno. Però, quando fu lì fermo sul marciapiede, gli parve davvero di sentire qualcuno chiamare di nuovo il suo nome.
“Andreas! Sei tu Andreas, vero?”
La voce proveniva da un vicoletto (umido, ma questo non costituiva un aggettivo determinante visto che, in quel periodo, tutto a Milano aveva un siffatto livello di umidità).
“Sì, sei tu. Vieni qui,” continuò la voce, aggiungendo, visto che Andreas era incerto, “dai, muoviti, ché ho la macchina sulle strisce blu.”
Andreas si avvicinò al vicolo e, quando vide da chi provenisse quella voce, riconobbe nel suo volto una certa familiarità. Disse:
“Tu sei…”
Ebbe bisogno di qualche altro secondo per riconoscerlo.
A discolpa di Andreas, c’era di sicuro da tenere in conto il fatto che aveva sì incontrato quell’uomo, ma mesi prima, e poi di certo non in quel vicolo, per quanto anche l’altro fosse umido. Inoltre, l’uomo non aveva più una barba rossa da hipster, ma era ora perfettamente sbarbato.
“Non ti avevo riconosciuto, non sembri più un irlandese.”
“La barba non è più trendy,” disse l’uomo massaggiandosi il mento, “adesso vieni.”
Andreas lo seguì facilmente, perché spiccava nel vicolo, pesto e stretto: aveva un lungo cappotto bianco, di quelli difficili da portare perché si sporcano dopo un minuto. Sembrava un angelo custode, o il suo anonimo fantasma.
Camminarono a passo svelto fino a giungere a un’auto, elegante e grigia. Lì l’uomo fece segno ad Andreas di entrare, mentre questi si appoggiò allo sportello del guidatore.
Titubante, Andreas obbedì.
“Buonasera,” udì appena fu nell’abitacolo. Non ebbe bisogno di voltarsi per capire chi avesse parlato, e gli venne istintivamente da toccarsi il fianco tatuato. Si voltò verso i sedili posteriori dell’auto, dove Odoacre era seduto in una cesta di vimini, riempita da cuscini.
“Che vuoi, Pallino?”
Odoacre soffiò, poi si ridiede un contegno:
“Dove è andato a finire il tuo amico?”
“Fumagalli?”
“No, l’altro.”
“Brian?”
“Quello. Dove si è cacciato?”
Andreas sapeva dove il gatto volesse andare a parare, ma preferì giocare, come avrebbe fatto Odoacre con un gomitolo, o una lucertola. O un essere umano.
“Lo hai perso? Eppure non è basso, è difficile da perdere.”
“Non sono in vena di scherzi.”
“Lo sei mai stato?”
Odoacre lo guardò con le pupille dilatate per la poca luce, poi disse:
“Il tuo amico non c’è più. Sono almeno due settimane che è scomparso dalla circolazione. È diventato irreperibile. Ho sguinzagliato il mio nuovo assistente,” e indicò con la zampetta, come i gatti della fortuna dei negozi orientali, l’uomo appoggiato all’auto, “e anche qualche pezzo grosso che mi doveva dei favori, ma niente: è come se fosse scomparso dalla faccia della terra.”
“Ma non mi dire!”
“C’è poco da scherzare: con la stagione fredda, e in assenza di saldi, la mia padrona non esce di casa, e quel tuo amico era la mia unica possibilità per non averla tra i piedi la sera, così da fare i miei giri.”
Andreas si voltò ancora di più per vedere meglio il gatto:
“Oh, Pallino, non dirmi che passi le sere a consolarla sul divano?”
La coda di Odoacre si mosse, percorsa da un’onda che si propagò dalla radice fino alla punta, poi il gatto scosse la testa, rabbrividendo:
“Questa cosa ti diverte, vero? Ebbene sì, sì: è così. Perciò dimmi: dove è finito il tuo amico?”
“Mi spiace, Pallino, ma Brian è diventato irreperibile anche per me. È nella sua natura, non può farci niente. Ma stai tranquillo: se e quando ritornerà… non te lo farò sapere.”
Odoacre emise un suono acuto che culminò in un soffio:
“Allora sentimi bene: tu adesso mi aiuti.”
“E perché dovrei?”
“Perché se no trovo un modo di far sapere alla tua donna di quella slavata che ho visto con il tuo amico, prima, e poi con te.”
Andreas rise al pensiero:
“Linda? Fai pure. A parte il fatto che Lalore non ti crederà mai, ma poi penso che Linda non sarà mai più in circolazione da queste parti.”
“Mi stai dicendo che il tuo amico e quella sciacquetta…”
Andreas, con gesto teatrale, emise un ‘puff’:
“Spariti nell’iperuranio.”
“Allora… Allora quell’altro tuo amico, quello che pensava che la mia padrona fosse la scialba.”
“Perché dovrei?” chiese Andreas, ma non diede tempo di pensare all’altro, “ho chiaramente saldato il debito con te, facendomi marchiare con il tuo simbolo. Non puoi più niente contro di me, sono inattaccabile. Ti dico solo che si è fatto tardi, e a casa mi aspettano. E forse aspettano anche te, a casa tua. Sai già che filmetto romantico ti toccherà, stasera?”
Andreas uscì dall’abitacolo, lasciando che Odoacre sfogasse in svariati soffi la propria frustrazione e impotenza. Poi salutò il servetto del gatto e tornò a casa.
Passarono un paio di giorni tranquilli, fino a che una mattina, poco prima di uscire di casa, Lalore disse:
“Ma tu sai niente di Brian?”
Andreas alzò le spalle e Lalore continuò:
“Dopo della serata con la zucca, è scomparso. Non una parola, una telefonata o anche un messaggio.”
“Immagino che… lei… insomma… la tua amica…”
“Sì, ci è rimasta molto male. Ti scoccia se la invito stasera, giusto per un paio di chiacchiere tra donne davanti a un tè e una torta, dopo cena?”
Andreas le si avvicinò:
“No. Sei adorabile, e un’ottima amica,” e così dicendo la baciò: odorava di dentifricio.
Fu così che Andreas non fu effettivamente sorpreso quando, verso le nove di sera, suonarono alla porta. Ancora, non fu troppo sorpreso di vedere che la bionda era accompagnata dal suo affezionato (o, almeno, così lei doveva pensare) animale domestico.
Ma Andreas si sorprese comunque e, con una mal celata risata, disse:
“Ma che…” risata soffocata, “che bel…” di nuovo, una mezza risata, “che bel cappottino che ha questo gattino. Pallino è freddoloso, forse?”
La bionda, che teneva Odoacre in braccio, lo tenne più stretto a sé e lisciò il cappottino che aveva messo indosso alla povera bestia: rosso acceso, con le rifiniture di giallo. Quei colori, abbinati al colore del manto del gatto, lo facevano sembrare una palla di fuoco rovente. Però molto elegante, quasi regale.
“Sì: l’ho comprato l’altro giorno ma, resti fra noi,” disse la bionda abbassando la voce, “è un cappotto per cani di taglia piccola.”
“No,” disse Fumagalli che era appena arrivato a godersi la scena, “Pallino non verrà mai a sapere da noi tale onta.”
Lo sguardo di Odoacre si abbinò alla sua sembianza da meteora incandescente, pronta a fare danni.
C’era però da dire che forse la descrizione cromatica di Odoacre era falsata, perché risaltava sul nero del cappotto della bionda. In effetti, tutto in lei era nero: la gonna che fuoriusciva da sotto il bordo inferiore del cappotto, le calze, gli stivaletti, perfino il trucco degli occhi. Uniche note di colore erano i capelli sciolti sulle spalle, e una sciarpa, viola.
Anche dopo essersi tolta il cappotto, la donna non prese delle sembianze migliori: indossava un golfino blu scuro, che in condizioni di scarsa illuminazione rasentava comunque il nero.
“Cara,” le venne incontro Lalore, “come stai?”
“Come vuoi che stia,” rispose la donna armeggiando con il cappottino di Odoacre, per sfilarglielo, “mi viene un infarto ogni volta che il telefono squilla o mi notifica un messaggio. Ma non è mai lui. Non so più che pensare…”
Andreas e Fumagalli lasciarono che le donne (più il gatto) andassero in cucina.
Poi però il campanello suonò di nuovo.
Era Manuel, vestito come se fosse venuto dritto dritto dal divano: i pantaloni grigi e consumati, con le pieghe sul ginocchio, e una maglia con cappuccio e dalle maniche con i polsini sporchi.
“Scusa,” disse agitando una busta che reggeva in mano, “ma giusto un minuto fa qualcuno ha suonato alla mia porta. Quando però sono andato ad aprire, non c’era nessuno, se non questa busta che, però, è chiaramente indirizzata a te.”
Andreas capì subito di che cosa si stesse trattando. Infatti, la busta recava il nome di Andreas scritto a penna, ma aveva in un angolo una scritta prestampata: Asir Sat. Forse ad aver suonato da Manuel erano stati i due scagnozzi del gatto, o forse l’hipster chauffeur, ma la sostanza non cambiava: Odoacre aveva teso una trappola, e ora Manuel era in pericolo. Andreas volle tagliar corto, ma non fece in tempo:
“Manuel!” esclamò Lalore, “prego, entra, e prendi una fetta di torta di carote con noi.”
Il nuovo ospite la seguì, portandosi dietro il suo odore di friggitoria, e Andreas bisbigliò a Fumagalli:
“Secondo te quando imparerà la Robi che le persone non entrano così facilmente in un condominio, seppur in una realtà narrativa?”
Quando i due arrivano in cucina, Manuel e la bionda si stavano salutando sotto la supervisione di Odoacre, che aveva una smorfia molto rassomigliante a un sorriso, mentre Lalore stava già mettendo una fetta di torta in un piattino.
“Che bell’aspetto che ha,” disse Manuel, “se non ti spiace vado un attimo a lavarmi le mani: ho mangiato delle patatine e mi sono rimaste unte.”
La bionda non nascose un’espressione di disgusto mentre si guardava la mano che Manuel le aveva appena stretto. Appena lui si fu allontanato per andare in bagno, la bionda disse:
“Il vostro amico è simpatico, ma… Manca proprio di stile. Ci credo che vive da solo, che è senza nessuno.”
A quelle parole Odoacre si rabbuiò.
“Di certo,” disse Andreas sorridendo, “non si può dire lo stesso di te, che hai quell’adorabile Pallino.”
“Hai ragione,” disse la bionda tirando a sé il gatto un attimo prima che questi caricasse le zampe per andarsene via dalla cucina, “sono fortunata ad averti, Pallino. Saremo sempre insieme, io e te.”