L’ha detto l’addetto

The Invitation – Prompt:

Scrivi una scena in cui un protagonista riceve un invito.

“Allora, siamo pronti?”
Fumagalli sistemò le penne e i tre lasciarono l’appartamento, diretti alla fermata della metro.
Era l’inizio di una bella serata: la temperatura era mite e il cielo chiaro, di un grigio opalescente che, tra gli scorci che i palazzi lasciavano intravedere, si mischiava al rosso del crepuscolo.
I tre scesero a Duomo e, dopo che Andreas ebbe tolto il guinzaglio a Fumagalli, iniziarono a camminare lentamente nella galleria Vittorio Emanuele II.
Lentamente, perché Lalore aveva in mano il telefono, che girava di continuo, sempre poi guardandosi intorno.
“No, ok, è giusto per di qua,” diceva ogni volta.
“Stiamo andando alla Scala?” chiese Fumagalli, trascinandosi la coda sulle piastrelle della galleria, come avrebbe fatto una sposa.
“Praticamente: il teatro è poco più avanti.”
Era la prima volta che andavano tutti a teatro. In effetti, era anche la prima volta in assoluto per Fumagalli e per Andreas, se questi escludeva una visita organizzata durante una gita alle scuole medie.
“Ma poi perché la tua amica del Museo del Novecento ti ha dato i biglietti?” le chiese Andreas.
“Perché lì c’è una mostra sull’Art Nouveau e gli organizzatori hanno deciso di fare un po’ da traino allo spettacolo che stiamo andando a vedere, visto che è ambientato più o meno nello stesso periodo. Perciò, hanno regalato dei biglietti al personale del museo,” gli spiegò lei.
“Sì, ma perché?” chiese ancora Andreas, fermandosi prima di azzardare la propria ipotesi: l’opera era pessima e la collega di Lalore ne era a conoscenza.
“Perché ha trovato da poco un lavoro alle Gallerie D’Italia a Vicenza, città dove vive il suo fidanzato. Con il trasloco di mezzo non ce l’ha fatta a venire a vedere lo spettacolo prima della partenza.”
Entrarono nel teatro, dove la prima cosa che videro fu il bancone della biglietteria. Fecero per passare oltre, avendo già i biglietti, quando l’addetto li richiamò.
“Non vedete il cartello?” disse loro indicando un simbolo alle sue spalle con la sagoma rossa di un cane inserita in un segno di divieto.
Andreas e Lalore guardarono l’addetto confusi.
“Lui,” spiegò questi additando Fumagalli.
“Ma, guardi,” disse Lalore, “lui non è un cane.”
“Lo vedo chiaramente, ma può comunque dare fastidio,” rispose l’addetto.
“Le garantisco che non è un pavone loquace,” disse Andreas, “vero Fumagalli?”
Fumagalli non rispose, tentando di avvalorare l’amico.
L’addetto li guardò entrambi accigliato.
“Non abbaia, se è questo il problema,” continuò Andreas.
L’addetto fissò Fumagalli e, a bruciapelo, disse:
“Ha perso tutte le penne della coda!”
Fumagalli urlò e si voltò a guardarsi. Preso dalla frenesia, iniziò a roteare su sé stesso, nel tentativo di controllare le sue preziose penne che, però, erano sempre non completamente in visuale.
“Stai tranquillo, va tutto bene,” disse Lalore accarezzandolo poi, rivolta all’addetto, “ma che cosa le è venuto in mente di dire?!”
“Mi dispiace, ma ho dovuto per provarvi che, se emotivamente stimolato, il vostro amico può non controllarsi e disturbare gli altri spettatori. Non può entrare ma, se volete, potete lasciarlo qua. E ora, se volete scusarmi…”
Fece segno a una coppia attempata di avvicinarsi al bancone, ma Andreas si frappose:
“Se lui non entra, allora non se ne fa nulla.”
Lalore prese i biglietti dalla borsa e li poggiò sul bancone.
“Un attimo, un attimo!” esclamò Fumagalli, “forse ho una soluzione al problema.”
I tre lo guardarono. In realtà, anche la coppia attempata lo guardava, incuriosita.
Fumagalli, a cui piaceva la suspense, attese qualche secondo prima di rivolgersi all’addetto:
“Mi racconti tutto lo spettacolo.”
“Come?”
“Mi spoileri l’intera trama. Il finale, i colpi di scena… Tutto. Così non avrò sorprese.”
“Mi sembra una buona idea,” disse la donna della coppia attempata.
Andreas e Lalore annuirono.
“Lo farei volentieri, ma come vede c’è la fila per i biglietti,” rispose l’addetto.
La donna della coppia si intromise:
“Purtroppo né io né mio marito conosciamo lo spettacolo.”
Andreas si spostò e urlò alle persone allineate in coda:
“Non c’è nessuno qui che ha già visto L’inverecondia del tardo meriggio?”
Vide una donna guardarlo, in silenzio.
“Lei, forse?” chiese Andreas.
La donna annuì:
“È una delle mie opere preferite.”
“Meraviglioso,” disse Lalore, “sarebbe così gentile da raccontare la vicenda al nostro amico? Se non le è di troppo disturbo, chiaro.”
“Non mi spiace mai parlare di teatro. Venga,” disse la donna rivolta a Fumagalli. I due si appartarono per una decina di minuti in un angolino. Nonostante la distanza e il naturale vociare delle persone in fila davanti al bancone, Andreas poté udire le urla di Fumagalli.
Poi, dopo l’ennesimo urlo, lungo e intenso, i due ritornarono al bancone, dove Andreas e Lalore li aspettavano.
“Gli ha raccontato proprio tutto?” chiese l’addetto.
La donna annuì.
Andreas e Lalore la ringraziarono e si avviarono con Fumagalli a prendere posto.
Guardarono lo spettacolo in prima galleria, un po’ laterali, tutti e tre in silenzio anche se erano udibili le volte in cui a Lalore mancava il fiato, quando succedeva qualcosa di inaspettato o emozionante sul palcoscenico.
Quando L’inverecondia del tardo meriggio terminò e gli attori smisero di mostrarsi al pubblico per riceverne le ovazioni, i tre lasciarono il palchetto.
Ripassarono davanti la biglietteria dove l’addetto li interpellò:
“Allora, tutto bene?”
“Descrizione molto accurata,” disse Fumagalli, “con una dovizia di dettagli che ha reso lo spettacolo quasi noioso. Fantastico.”
L’addetto, non capendo se quelle parole fossero o meno rivestite di sarcasmo, preferì non dire nulla.
I tre lasciarono il teatro.
“Torniamo a casa per mangiare?” chiese Andreas.
“Perché non ci godiamo la serata fuori e troviamo un ristorante? Che ne dite?”
I due maschi approvarono l’idea di Lalore e iniziarono a camminare mentre lei, di nuovo, muoveva passi cauti con il telefono in mano.
Poi Fumagalli urlò.
“Un nuovo colpo di scena, tipo quello dopo dei titoli di coda?” chiese Andreas.
“No. Lì: guardate.”
C’era un gruppetto di uomini con un carrello portapacchi, sul quale poggiava una scatola di cartone.
“È Phil, con i Jazz musical box!” spiegò Fumagalli, poi riprese a urlare, richiamando l’attenzione della band.
Si avvicinarono gli uni agli altri.
“Come mai da queste parti?” chiese Gian.
“Siamo appena stati a teatro e cercavamo un posto dove andare a mangiare.”
“Ottimo, anche noi. Vi va di cenare insieme?”
I tre rimasero stupiti: a parlare era stato Phil. Aveva un tono allegro e lo dimostrò anche mentre si mossero per andare nel ristorante che avevano scelto: canticchiava, improvvisando con la sua voce da sax.
Quando si furono seduti nel locale, Lalore chiese conferma a Phil se fosse effettivamente di buon umore.
“Fantastico!” rispose, e riprese a canticchiare.
“Siamo appena stati in un piccolo locale in zona Porta Romana,” disse Pier.
“E siete qui perché in quel locale cucinavano male?” domandò Andreas.
“No,” rispose Gian, “siamo stati lì a esibirci a una piccola maratona di jazz, che coinvolge vari artisti locali.”
“Dopo l’esibizione,” continuò Pier, “siamo saliti in metro e ci ha fermati un uomo con uno spiccato accento straniero.”
“Oh,” disse Andreas, “si chiamava per caso Michael Mariscalco?”
“No,” parlò per la prima volta il batterista, senza aggiungere altro.
“Si chiama Parker Goodman. Lo conoscete?”
I tre scossero la testa e Gian riprese a parlare:
“Insomma, Parker ci avvicina e ci dice che ha ascoltato la nostra esibizione e che ci vorrebbe al Blue Note per una serie di concerti.”
“Il Blue Note è quel locale in via Pietro Borsieri?” chiese Fumagalli.
“Anche: noi ci riferiamo a quello al 131 della West 3rd street, a New York!” esclamò Phil, interrompendo il sottofondo musicale che stava regalando ai clienti del locale.
Fumagalli rimpiazzò il silenzio con varie urla di stupore.
“È una notizia fantastica, ragazzi!” disse Lalore. Anche Andreas si complimentò con il gruppo per il traguardo raggiunto, e aggiunse:
“E quando andate?”
“Parker dice che provvederà a inserirci nel calendario del 2019. Quindi andremo entro la fine dell’anno.”
“Dobbiamo festeggiare!” esclamò Andreas, “dello champagne!”
“Andri, certo che c’è da festeggiare, ma forse è meglio essere cauti con l’alcool per non… diminuire la bellezza di questa occasione.”
“Sarò cauto, non preoccuparti.”
Lalore sospirò e Fumagalli venne in suo aiuto.
“Certo,” disse rivolto ad Andreas, “ma anche senza necessariamente fare cose bizzarre, il tuo senso dell’umorismo peggiora e potresti regalarci delle battute non proprio divertenti.”
“Battute? Perché siamo ancora a teatro?”
Fumagalli urlò:
“E pensare che ora sei ancora sobrio.”