Raduno colposo

So I’ve Heard… – Prompt:

Scrivi una storia che includa parole legate ai suoni.

Come ogni anno, puntuale dopo il 31 luglio, agosto era arrivato a Milano, come pure nel resto dell’Italia.
I mezzi pubblici avevano preso a funzionare con l’orario estivo, la M2 era ufficialmente interrotta tra Udine e Loreto, e avevano cominciato ad affacciarsi sulle strade le prime saracinesche abbassate, sulle quali erano attaccati dei fogli A4 con le date, scritte a pennarello, relative alla chiusura dei rispettivi esercizi commerciali.
Anche Lalore e Andreas erano pronti per il mese vacanziero: stavano partendo per una settimana di vacanza in montagna, in Valle d’Aosta, lasciando Fumagalli, come l’anno prima, alle cure del signor Cavalleri.
Fu Andreas ad accompagnarlo dal vicino il sabato mattina.
“Non so perché, ma io mi sento come se già fossi stato in vacanza,” disse a Fumagalli dopo il trillo del campanello.
“Forse la Robi non ha più scritto sul blog, e ci sta utilizzando solo ora.”
“O forse ci sono altri personaggi POV in giro, come Dino.”
Smise di parlare quando udì gli scatti della chiave nel meccanismo della serratura.
“Signor Cavalleri, grazie mille. E grazie anche per tenere Dino,” disse Andreas. Giusto il giorno prima lo aveva trasferito dal vicino, attaccando con cura tutti i cavi.
“Nessun disturbo. Fumagalli è ormai di casa e Dino mi sembra molto simpatico.”
“A proposito di Dino: la prego, la sera-”
“La sera lo devo lasciare in standby e di giorno, invece, accenderlo e fargli fare un po’ di conversazione. Andrà tutto bene: state tranquilli e divertitevi.”
Quando la porta di casa del signor Cavalleri fu chiusa, Andreas rientrò nel proprio appartamento per le ultime cose da sistemare prima della partenza. Dopo un quarto d’ora, Lalore e Andreas erano alla macchina.
Si erano messi d’accordo che a guidare sarebbe stata Lalore: questa, infatti, sapendo che stare al volante rimaneva sempre una delle attività non preferite dal compagno, aveva deciso di alleggerirlo dall’incombenza. Così elesse Andreas a navigatore anche se, in effetti, la vera funzione di navigatore ce l’aveva Google.
“Impostato?” chiese Lalore mentre era ancora nel centro di Milano.
“Saint Denis, sì. Per ora vai dritta.”
“Ok, fino a qua so ancora orientarmi.”
Riuscì a cavarsela per la prima ora e mezza. Poi le cose non andarono come previsto. O, considerando lo stereotipo delle donne incapaci di capire una cartina, andarono proprio come previsto, perché Lalore non solo non era capace di leggere una mappa, ma nemmeno di seguire correttamente le indicazioni del navigatore, specialmente una volta sulle stradine valdostane.
“A destra, qui,” diceva Andreas.
“Sì, tra venti metri,” rispondeva Lalore, “quindi a quella lì.”
Andreas guardava sconsolato l’app di navigazione fare ricalcoli su ricalcoli, arrivando a pensare che prima o poi il software avrebbe semplicemente suggerito di ritornare a Milano e ricominciare daccapo.
A un certo punto Andreas alzò il capo: vide un’indicazione che gli sembrò familiare, e si illuminò:
“Resta su questa rotonda e prendi l’uscita che abbiamo appena passato.”
“Sicuro?”
“Sì, c’era scritto Sainte Denise.”
Andreas non conosceva il francese e, perciò, non si avvide dell’errore. Lalore, invece, conscia dei suoi problemi di orientamento, si fidò del compagno e svoltò come le aveva suggerito.
“Che dice il navigatore? Ancora avanti?” chiese Lalore dopo un paio di minuti.
Andreas guardò il telefono: non c’era più segnale GPS.
“Chiediamo a qualcuno,” suggerì Lalore.
“No, secondo me ci siamo,” rispose Andreas: anche lui era un po’ uno stereotipo.
Lalore non gli badò. Accostò e chiese a un passante:
“Scusi, per Saint Denis?”
Il passante, conscio del fatto che i nomi francesi venivano storpiati dalle orde di turisti che invadevano la regione, rispose indicando la vicina frazione di Sainte Denise:
“Ancora dritto per un chilometro e sarete arrivati.”
Fu così che approcciarono Sainte Denise, frazione di Valblague, di abitanti 17 e con un cartello di benvenuto così vecchio, che la vernice si era del tutto scrostata, lasciando i due lombardi in vettura ignari dell’errore.
Si accorsero però subito che il posto dove stavano viaggiando era sì turistico, per via delle persone che passeggiavano rilassate, ma anche minuscolo: non c’era un solo incrocio per le auto, costringendoli ad andare solo dritto.
“Andri, mi sa che dobbiamo chiedere per l’albergo,” disse comunque Lalore.
“No, secondo me ci siamo,” rispose Andreas.
Lalore non gli badò. Accostò e chiese a un passante:
“Scusi, stiamo cercando l’albergo Bell’orrido. Sa dove è?”
“Non so,” rispose il vecchietto, “però qui c’è un solo albergo, 100 metri più indietro.”
“Allora faccio inversione, grazie.”
Il vecchietto la fermò:
“Vi consiglio di andare più avanti per parcheggiare: con l’evento di questi giorni tutti i posti non di sosta vietata sono occupati. Ma quelli del raduno hanno organizzato un bello spiazzo lì in fondo.”
“Raduno?”
“Sì: il raduno dei…”
“Il raduno dei…?”
“Dei seriali.”
“Ah, ma che bello!”
Il vecchietto la guardò scettico, poi se ne andò.
“Con tutta la TV che vedevo l’anno scorso, questo è il posto giusto per me,” disse Andreas, fiero di sé.
“Vero. E siamo aggiornatissimi sulle ultime stagioni di praticamente tutto su Netflix. Ci sarà da divertirsi.”
Seguirono il consiglio del vecchietto e, dopo meno di 20 minuti, erano giunti a piedi davanti la reception di ciò che era segnalato come Albergo da una minuscola targhetta.
“Salve,” salutò Lalore, “ho prenotato una stanza matrimoniale a nome Piacentini.”
L’addetto controllò sul registro e ne sfogliò a lungo le pagine, poi armeggiò con il computer.
“Quando ha prenotato?” le chiese.
“Circa tre settimane fa.”
L’addetto controllò ancora, ma alla fine si arrese. Con l’espressione più mortificata di cui era capace, disse:
“Non so come sia potuto succedere, ma la vostra prenotazione non risulta essere da nessuna parte. E, purtroppo, a causa del raduno, non ci sono più stanze matrimoniali libere né qui, nelle case disabitate che il borgo ha messo a disposizione…”
Lalore mosse le labbra per rispondere e l’addetto sembrò spaventarsi. Aggiunse immediatamente:
“No! No, non c’è bisogno di arrabbiarsi. Guardi: al prezzo della matrimoniale vi posso offrire la suite di lusso nella mansarda. Senza sovrapprezzo. Eh? Vi sembra ragionevole, signori?”
“Va bene,” disse Andreas.
“Tutto sistemato, allora, vero?”
Lalore annuì sorridendo e l’addetto sembrò rilassarsi.
“Senta una cosa: per il pranzo, potrebbe consigliarci un buon ristorante di cucina locale?”
“In realtà qui c’è un solo ristorante ma,” si affrettò ad aggiungere l’addetto, come se la cosa avesse potuto risultare offensiva, “per il raduno molti degli edifici abbandonati sono stati adibiti a sale per i pasti, con cuochi per ogni tipo di cucina.”
“Grazie, ma preferirei la cucina tipica,” disse Lalore.
“Certo, certo. Allora il ristorante alla porta accanto.”
Il ristorante alla porta accanto era sia un’indicazione geografica, che il nome del locale. Era una piccola bettola con tavolate in legno dove la gente, quasi tutti uomini, sedeva allegramente insieme. Data l’ora, erano già tutti al caffè, rigorosamente valdostano. Si respirava una bell’aria, vagamente alcolica.
Lalore e Andreas presero posto all’estremo sgombro della tavolata e un uomo, poco oltre la quarantina, iniziò a parlare loro, al di sopra del chiasso dei commensali.
“Qui per il raduno?”
“Non sapevamo che ci fosse, ma siamo ben lieti di partecipare, perché ci entriamo di diritto,” rispose Andreas, fiero.
“Ottimo. E poi è bello vedere delle coppie a questi eventi: capita piuttosto raramente. Lavorate insieme?”
“No. Io lavoro in un canile.”
“Location interessante. E lei, signora?”
“In un museo a Milano.”
“Oh, in un museo. Il mio sogno: il silenzio di quando si è prossimi alla chiusura, i dipinti e le sculture che osservano omertose…”
Lalore guardò Andreas, poi annuì al commento dell’uomo.
“E, così, tanto per: come lo fate?”
Nessuno dei due rispose: si udiva solo lo schiamazzo degli uomini un po’ brilli.
“Giusto, è una domanda strana, ci conosciamo da poco,” riprese l’uomo, “inizio io, allora: io lo faccio in un vecchio magazzino di famiglia, chiaramente sempre con sconosciute. In genere ci vado sempre piano all’inizio, per godermi l’eccitazione e il momento, e poi, alla fine, zacchete, un colpo e via.”
“Un colpo?” chiese conferma Andreas.
“Sì. Perché, voi?”
“Non…” Andreas, rosso, non continuò.
“E…” disse Lalore per cambiare argomento, “da quanto tempo esiste questo raduno?”
“Penso dall’estate del 2007. È una bella occasione per scambiarsi consigli, esperienze e fare nuove conoscenze nel settore. Tra l’altro, fino all’anno scorso veniva anche un tizio di Milano, credo si facesse chiamare Canetti. Lo conoscete?”
“No, il nome non dice nulla,” disse Andreas.
“Peccato che, da come mi sembra di capire, quest’anno non ci sia. Come mai?” chiese Lalore.
“Be, si sa come vanno le cose in questo settore… I rischi del mestiere.”
L’uomo parve rattristirsi un po’ a quelle parole e Lalore domandò subito:
“Sono previste attività tutti insieme, per il raduno?”
“In genere no. Troppi generi diversi, sarebbe difficile conciliare tutto.”
“Non si guarda nemmeno qualcosa insieme? Qualche evergreen…”
“Ah, signore,” disse l’uomo ad Andreas, “è fortunato ad avere una donna così intelligente e aperta di idee. Si figuri che mia moglie non sa nulla di quanto faccio.”
“Ma perché? Non c’è nulla di male,” disse Lalore.
“Mi creda, non sono tutte come lei. Comunque sì: si proietteranno dei documentari nella vecchia piazza del borgo. Di sicuro su Ted Bundy e su Ed Gein, con successivo dibattito. Ora, se volete scusarmi, devo andare a fare una telefonata a mia moglie: lo ho detto che sono a una gara di tiro con l’arco e devo evitare che sospetti qualcosa.”
Appena se ne fu andato, Lalore si alzò per andare a lavarsi le mani.
“Dovresti farlo anche tu, Andri, dopo il lungo viaggio che abbiamo fatto,” gli disse dopo essersi alzata.
Andreas, le obbedì, visto che lo aveva scarrozzato fin lì.
Il bagno degli uomini era mal illuminato e si sentivano il ronzio delle luci al neon e il gocciolio di un paio di rubinetti attaccati alle pareti. Il vociare dei commensali si udiva a tratti, quando qualcuno rideva più forte.
Andreas entrò in uno dei cubicoli, ma non fece in tempo a sbottonarsi che la porta del bagno cigolò e dei passi riecheggiarono sul pavimento in piastrelline rosse.
I passi erano lenti, inquietanti e sembravano dirigersi verso il suo cubicolo.
Andreas si voltò e vide la porta aprirsi di scatto.
Urlò.
Urlò anche l’altro: era l’uomo con il quale lui e Lalore avevano parlato poco prima.
“Scusi,” gli disse, “non immaginavo che…”
“Colpa mia,” disse Andreas, “ho dimenticato di chiudere a chiave.”
“Che spavento,” disse l’uomo.
“Non me lo dica. Per un attimo ho creduto che si trattasse di un pazzo omicida.”
L’uomo rise:
“No, non sono pazzo.”