La sostenibile chiarezza del (nuovo) essere

No One Can See Me – Prompt:

Scrivi una scena dal punto di vista di qualcuno o qualcosa che i personaggi non sanno che stia guardando.

Le ore notturne sono notoriamente fatte per i dormienti, i criminali e gli amanti. Almeno, quelle regolari: le notti milanesi della fine del giungo 2019 erano fatte solo per sudare e restare svegli, con i recettori della pelle all’erta, in attesa del più flebile e impercettibile filo d’aria.
La sera di quel giovedì gli abitanti della casa avevano visto qualcosa in televisione poi, disidratati e sopraffatti dalla temperatura tropicale, avevano deciso di andare a letto, dimenticando di spegnere completamente il decoder. Questi, con la sua lucina rossa accesa, era rimasto vigile e aveva preso a pensare. Prima, al fatto di essere un personaggio: non ci aveva mai pensato e ora, dopo un anno, ne aveva preso coscienza. Una realizzazione emozionante ma poco rumorosa, un po’ come quella di Malcolm Crowe ne Il sesto senso, anche se lì succedeva alla fine del film, ed era una scoperta decisamente più tragica. O forse nemmeno troppo più tragica della sua, a pensarci bene. Il decoder si chiese se anche gli altri esseri della casa sapevano di essere parte di una storia.
Poi, prese a pensare alla propria fortuna: se a quelle temperature il suo umano maschio lo avesse usato smodatamente come l’anno precedente, gli avrebbe sicuramente fuso i suoi circuiti saldati in un laboratorio cinese di infima qualità. Mentire non serviva a nulla: sapeva benissimo da dove veniva, che era un economico ammasso di circuiteria mal testata, basato sullo sfruttamento della manifattura extra-europea. Ma ciò che per lui contava era portare un marchio prestigioso: Asir Sat.
Dopo tutte queste considerazioni sulla sua esistenza, il suo occhietto rosso aveva preso a guardare tranquillamente ciò che aveva davanti, rischiarato dalla luce che doveva venire da una finestra e dalla porta a vetro del balcone: un divano da tre, forse quattro posti, che di giorno era a metà tra il grigio e il rosa e, davanti a esso, un tavolino, dove distingueva a malapena il telecomando, suo padrone, e delle riviste sparse.
Vedeva anche parte della struttura di un cavalletto per tele, che poteva completamente vedere di giorno quando uno dei due umani lo spostava per il pennuto della casa.
Il decoder guardò fisso quanto aveva davanti, immerso nei deboli suoni di quella notte: qualche passo proveniente dal piano di sopra, condutture che lasciavano fluire l’acqua al loro interno.
Pensava che sarebbe stata una notte tranquilla, e che fosse proprio ciò di cui aveva bisogno, dopo aver capito di vivere in una storia.
Invece, a un certo punto, il salotto sembrò rischiararsi appena. Il decoder sentì1 sordi rumori di passi, come solo le piante dei piedi nudi possono produrre all’impatto con il pavimento. Dal modo in cui i tonfi si susseguirono e attenuarono, fino a fermarsi, concluse che uno dei due umani era andato in cucina. Poi sentì i rumori della tubatura dell’acqua.
Infine, di nuovo i passi, probabilmente diretti in camera da letto.
Il decoder pensò che, a quel punto, la nottata sarebbe proseguita tranquillamente.
Invece, a un certo punto, sentì i rumori tipici di chi tenta di forzare una serratura. Gli venne in mente la scena de Il Maratoneta, prima del rapimento di Babe Levy. Poi la serratura della porta scattò e allora si ricordò: il pennuto capellone di casa era uscito, ma non era ancora rientrato. Doveva essere lui.
Nel buio, sentì il lento ticchettio delle unghie del volatile sul pavimento, ma udì distintamente anche un dialogo a mezza voce:
“Vuoi entrare per bere qualcosa?”
“Ma no, grazie, posso bere a casa.”
“E dei mirtilli? Lalore ne ha comprati di freschi proprio oggi. Sono ottimi con questo caldo.”
“Grazie, meglio che non mangi prima di andare a dormire. È molto tardi per me.”
“Non hai nemmeno tempo di vedere i bozzetti?”
“Oh sì, quelli mi piacerebbe vederli.”
Il decoder sentì rumore di penne e piume svolazzare, poi il salotto venne illuminato dalla luce del lampadario, ora accesa.
Il pavone era in compagnia di una gallina così piena di penne e piume, da sembrare una matrona romana.
I due uccelli si mossero nel salotto fino ad arrivare al tavolino, dove il pavone prese a sfogliare con il becco qualcosa che lui aveva pensato essere una rivista ma che, invece, doveva essere un album da disegno.
“Molto belli,” diceva la gallina, facendogli sembrare la scena molto simile a quella di Titanic, dove Jack fa vedere i suoi schizzi a Rose, “oh, aspetta… questo è meraviglioso.”
“Lo penso anche io. Dici che potrebbe essere il primo da realizzare?”
“Decisamente. Oh, vedo che ti stai esercitando anche con la firma.”
“Sì. Ero incerto se firmare solo Pavlov o A. Pavlov, ma ho deciso di optare per Pavlov scritto con la P e la A maiuscole.”
“Grazie. Già mi immagino Milano tappezzata dai tuoi poster. Anzi, di Pavlov. Sono sicura che il nostro gruppo rimedierà un sacco di iscritti.”
Rimasero in silenzio.
“Bene: sarà meglio che vada, ora.”
I due uccelli si allontanarono, poi ci fu di nuovo rumore di penne e piume scosse e, infine, il buio. A quel punto il decoder poté solo udire il dialogo tra i due.
“Billa…”
“Che cosa?”
“Io devo parlarti.”
“Proprio ora?”
“Be’…”
“Non puoi aspettare?”
“Ho già aspettato a lungo. Billa, io…”
“Fumagalli…”
Il decoder non udì più nulla e avrebbe pagato per vedere che cosa stava succedendo. Gli sembrava di assistere a un episodio di un telefilm concluso con la tecnica del cliffhanger. Pensò che chiunque fosse il suo autore o autrice, si stava divertendo molto a lasciare sulle spine sia lui che eventuali lettori.
Il decoder riuscì a udire soltanto la porta aprirsi e poi chiudersi, e i passi del pavone ticchettare lentamente, verso la cucina. Poi più nulla: doveva essersi addormentato di là.
Il decoder, curioso, impiegò qualche minuto per calmarsi, poi decise di godersi la nottata, ora definitivamente destinata a scorrere tranquilla.
Invece, a un certo punto, udì di nuovo passi di piedi nudi camminare per l’appartamento. E poi vide una cosa che non avrebbe mai voluto vedere: l’umano maschio, nudo, arrivare in soggiorno e stravaccarsi sul divano, lì dove la corrente d’aria della finestra e della porta del balcone dovevano impattare.
“Ma…” disse l’umano guardandolo, “perché lampeggi?”
Il decoder rimase sbalordito: poteva comunicare con gli altri personaggi, in un qualche modo. Continuò a lampeggiare, per cercare di richiamare l’attenzione dell’umano, ma non servì a nulla: l’uomo nudo scosse le spalle e chiuse gli occhi.
Il decoder fu obbligato a vederselo lì davanti, col respiro pesante, per svariate ore fino a che la penombra diminuì.
Era come la scena finale di Nuovo cinema Paradiso, pensò, con Salvatore Di Vita che guardava sullo schermo le scene tagliate da Alfredo, piangendo commosso. Solo che il decoder non poteva piangere (la circuiteria si sarebbe irreversibilmente danneggiata) e quella scena finale sarebbe stata sufficiente a ribattezzare il film come Nuovo cinema Inferno.

  1. I personaggi decoder che pensano e vedono, sentono anche.