Pavlov e il riflesso condizionato

Trash Tales – Prompt:

Cammina su una strada vicino al luogo dove abiti o dove lavori e prendi nota degli oggetti buttati a terra che incontri. Scrivi una scena basata su di essi.

Quel principio di serata fu diverso dal solito, perché tutti e tre gli abitanti della casa si erano piazzati davanti al televisore: Andreas e Lalore sul divano, Fumagalli ai loro piedi. Con il telecomando, Andreas accese il decoder e l’apparecchio televisivo e fece in modo da sintonizzarsi su Rai3, giusto in tempo per i saluti iniziali della giornalista dell’edizione locale.
“Ma mi dici almeno di che cosa si tratta?” chiese poi a Lalore mentre la giornalista cominciava a introdurre la prima notizia.
“Sh! Lo vedrai,” rispose Lalore.
Era stata infatti lei a chiedere agli altri due di accorrere e di guardare l’edizione del telegiornale, senza dare nessuna spiegazione sul perché. Però, quella ragione ancora misteriosa, l’aveva resa così entusiasta ed eccitata, da averla indotta perfino a rimandare la preparazione della cena.
Andreas si accasciò sul divano sospirando, e si rassegnò a sentire i morsi della fame mentre guardava le notizie di politica e di cronaca nera che scorrevano sullo schermo. Poi, dopo un tempo che gli sembrò interminabile, la giornalista parve virare verso notizie più leggere, come la cultura.
“Ecco, ecco!” esclamò Lalore.
Andreas cominciò ad avere un sospetto: se si trattava di cultura, si trattava di libri, il che voleva dire che il suo stomaco era stato costretto a brontolare per colpa della signora Piacentini e del lancio di qualche sua altra storia erotico-fantasy-storico-femminista.
Invece, quella sera, cultura significava arte, e apparvero le immagini di un luogo che Andreas conosceva bene: piazza del Duomo.
Solo allora, Lalore spiegò:
“Oggi, nello spiazzo adiacente il Museo del 900, hanno allestito una piccola mostra di arte contemporanea. Ci sono passata in pausa pranzo e mi hanno brevemente intervistata.”
Fumagalli urlò e si complimentò con lei, poi ritornarono tutti a vedere il servizio, in attesa dell’apparizione di Lalore.
La voce fuoricampo spiegava che quella piccola mostra non era solo qualcosa di temporaneo, ma una specie di flashmob artistico. Poi le immagini mostrarono un uomo con occhiali tondi e grandi, barbetta incolta, e volto scavato. Andreas lo catalogò immediatamente come uno di quei borghesi arricchiti che volevano sembrare di mondo e alternativi, ma che erano alternativi proprio in virtù del peso del loro conto in banca. L’uomo diceva:
“Siamo in un mondo grigio, fatto di ignoranza e ignoranti, e l’arte è l’unica cosa che ci può salvare. Ho perciò deciso di investire i miei soldi nelle opere di artisti contemporanei, e di dare la possibilità al popolo bue di potersi redimere con questa mostra improvvisata nel punto nevralgico di Milano, dove la gente pensa solo ad aperitivi e allo shopping.”
“Popolo bue… però!” commentò Fumagalli.
“Aspetta, aspetta: eccola!” esclamò Andreas quando apparve Lalore in televisione.
“Io trovo che sia una bella iniziativa: l’arte è sempre relegata nei musei, poco frequentati dai giovani. Invece, in questo modo, tutti possono avvicinarsi a essa e di essa contaminarsi. Nel senso buono del termine, chiaro,” diceva Lalore nel filmato, con il tono di voce sicuro di chi è abituato a parlare in pubblico e di chi crede veramente in ciò che dice.
“Brava,” le disse Andreas, e le schioccò un bacio sulle labbra.
Il servizio continuò con le immagini delle varie opere, che erano tutte installazioni.
C’erano vari stampi in plastica dalle forme e i colori più vari, una scultura di cartapesta informe, vagamente rassomigliante a una piovra, e anche una pila di libri che non avrebbe potuto restare fisicamente in piedi senza un qualche trucco tecnico che la supportasse.
Poi apparve un cesto di vimini, dal diametro di un hula-hoop, pieno di mozziconi di sigarette, volantini accartocciati e sbiaditi, fogli di giornale, fazzolettini, tetrapak appiattiti, e involucri di plastica con ancora la linguetta dorata attaccata. Si intravedeva perfino una bottiglia di birra, vuota.
Casualmente, la camera inquadrò il nome dell’artista:
Andrej Pavlov.
Fumagalli urlò, mentre i borborigmi gastrici di Andreas si fermarono.
“Pensate che la televisione mi ingrassi?” chiese Lalore.
“Eri stupenda,” disse Fumagalli quando si avvide che Andreas non era in grado di parlare.
Quando lo ridivenne, questi disse:
“E per quanto ci sarà questa mostra di… artisti? Magari… mi piacerebbe molto andare a vederla.”
“Oh Andri, che peccato!” esclamò Lalore poggiando una mano sulla coscia di lui, “era solo per oggi: probabilmente a quest’ora quel mecenate avrà già recuperato tutte le installazioni. C’era qualcosa che ti interessava?”
“Il cesto che hanno mostrato alla fine, quello con… con la…” Andreas non completò la frase, perché non gli veniva in mente nessun’altra parola se non spazzatura.
“Ah, l’opera di Pavlov. In un certo senso era l’opera fondamentale della mostra, perché di un artista non sconosciuto. Almeno, questo stando a quanto mi ha detto una ragazza che era lì e che sta scrivendo una tesi proprio su di lui.”
Fumagalli urlò ancora e Lalore lo guardò incuriosita.
“No, nulla,” spiegò il pavone, “è che mi fa piacere che l’arte abbia tanti seguaci.”
“Che cosa sai di lui o della sua opera?” chiese Andreas a Lalore.
“Mah,” gli rispose sistemandosi meglio sul divano, “di lui si sa che ha esordito con un’opera che ha retrodatato, e questa del cesto dovrebbe essere la sua seconda. Però l’identità di Pavlov è segreta, e qualcuno dice che sia un collettivo artistico che si rende irrintracciabile, qualunque sia il motivo. Insomma, non è molto chiaro chi ci sia dietro quel nome o quelle installazioni.”
“E di questa nuova opera, se così la possiamo chiamare, che cosa si sa?” la incalzò Andreas.
“Be’, io la chiamerei proprio nuova opera. Si chiama Moderna raccolta di funghi, o qualcosa di molto simile. Dalla descrizione pare che Pavlov abbia voluto mostrare quale sarebbe il risultato di una passeggiata nel mondo contemporaneo. Ti dirò, forse ha uno stile un po’ immaturo, ma penso che la sua critica alla società moderna sia piuttosto fondata e attuale. Sono contenta che la cosa ti interessi,” concluse lei, chiaramente contenta per l’aver parlato di arte con Andreas.
“Sì, questo Pavlov mi affascina molto.”
“Bene,” disse Lalore alzandosi sulle note della sigla finale del telegiornale, “credo però che sia ora di preparare qualcosa per la cena.”
Appena questa ebbe lasciato il salotto, Andreas spense il televisore e si rivolse a Fumagalli:
“Sei stato tu? Hai creato tu quella cosa che chiamano arte?”
“Ma come ti permetti?!” esclamò Fumagalli scotendo le penne, “io non faccio installazioni, io sono per la nobile arte del disegno, che richiede tecnica, occhio acuto-”
“Ma allora ti rendi conto?” lo interruppe Andreas, “siamo di fronte a un falsario!”
Fumagalli ci pensò per qualche secondo, poi disse:
“Penso che ne dovremmo essere lusingati, perché vuol dire che la nostra opera prima è piaciuta.”
“Al diavolo. Tu non ti chiedi chi possa essere stato?”
“Un po’ sì, ma come potremmo scoprirlo? Hai sentito che la mostra è stata solo temporanea.”
“Peccato,” disse Andreas con una voce leggermente stridula, “credevo che un bravo detective come te potesse fare qualcosa al riguardo e trovare qualche informazione.”
“Passami il portatile,” ribatté Fumagalli, cascando nella trappola dell’amico.
Prese così a becchettare sulla tastiera per qualche minuto. Poi, infine, disse:
“Ho trovato il nome del mecenate, e penso di averne trovato anche l’indirizzo mail, il numero di telefono, e forse anche un blog.”
“Dammi il numero,” disse Andreas prendendo il proprio smartphone dal tavolino.
Fumagalli urlò:
“Lo vuoi chiamare? È un orario sconveniente, starà mangiando.”
Incurante di quel commento, Andreas inclinò il portatile in modo da leggere le cifre del numero e comporle.
“Pronto?” gli rispose subito l’uomo.
“Salve, non le dirò il mio nome perché è irrilevante, e vado invece subito al dunque: come è venuto in possesso dell’opera di Pavlov che ha esposto oggi in piazza del Duomo?” chiese seccamente Andreas.
All’altro capo ci fu una pausa:
“Quel è l’opera di Pavlov? Sa, ne ho portate dieci e non le ricordo tutte,” si giustificò il mecenate.
“Il cesto.”
“Ah, sì. Be’, diciamo che quella è un’opera che mi è stata gentilmente donata.”
Andreas mise il vivavoce e Fumagalli poté udire la storia:
“Una mattina di un paio di settimane fa ho trovato sul vialetto di casa questo cesto. Lì per lì ho creduto che qualcuno, per scherzo, avesse collezionato della spazzatura e me l’avesse portata. Poi però ho letto un biglietto che giaceva lì per terra, sotto il cesto.”
“E che cosa diceva il biglietto?”
“Che era la nuova opera di questo Pavlov e che avevo il diritto e il dovere di farla conoscere al mondo. Non avevo mai sentito prima quel nome, così sono tornato in casa e l’ho cercato, scoprendo che è effettivamente un artista, anche se dall’identità piuttosto oscura. Allora sono uscito e ho portato l’opera in casa, mettendola insieme alle altre che colleziono.”
“Quindi è a causa del biglietto che ha deciso di fare questo flashmob: per far conoscere l’opera al popolo bue?” chiese conferma Andreas.
“Sì, ma anche per vedere se qualcuno la volesse comprare. Potrei ricavarci un po’ di soldi da questa storia, e penso che a breve potrei: un paio di collezionisti mi hanno lasciato i loro biglietti da visita. Ma… mi sente? Ho sentito come un urlo disumano, forse un’interferenza?”
“Tutto ok,” disse Andreas portandosi un indice alle labbra, intimando così a Fumagalli di stare calmo, “quindi lei non ha avuto contatti con l’artista?”
“No, assolutamente no.”
“E non ha un’altra opera di Pavlov?”
“Purtroppo no. Non sa la mia delusione quando al mattino apro la finestra e vedo il vialetto vuoto. Sa, mi piacerebbe estinguere il mutuo del mio chalet in montagna, prima o poi-”
Andreas riattaccò.
“Per quanto sia un ipocrita, stava ancora parlando,” gli fece notare Fumagalli, “sei stato un po’ cafone a sbattergli il telefono in faccia.”
“Che ti aspetti da uno come me, un ignorante del popolo bue? Solo… vaccate.”
Fumagalli scosse la testa a quella battuta.
“Ti faccio notare che i ruminanti hanno qualcosa di molto più complesso del tuo semplice stomaco.”
“Non parlarmi di stomaco,” disse Andreas, “anzi, fammi andare a dare una mano a Lalore, così magari accorcio l’attesa per la cena.”