Mail (day)

Lost Dog – Prompt:

Il cane di famiglia è scomparso e tutti ne sono devastati. Poi, improvvisamente, il cane riappare dal nulla. Ma c’è qualcosa di strano nell’amico a quattro zampe…1

Tutto era cominciato una mattina, quando Lalore e Andreas erano al lavoro e Fumagalli era da solo in casa, a dipingere in salotto un dipinto piuttosto astratto con dei nuovi colori a olio.
“Scusa, Fumagalli.”
Il pavone tracciò sulla tela un ghiribizzo poco aggraziato, poi prese a urlare come un forsennato, lasciando cadere il pennello per terra.
“Billa! Che diavolo ci fai qui?! Ma come sei entrata?” gridò quando si fu un po’ ripreso.
“Lo sai, no? Sono uscita da un allevamento intensivo: non c’è posto dal quale non possa uscire, o dove non possa entrare.”
Billa diede all’altro pennuto qualche istante ulteriore per calmarsi, poi disse:
“Sono venuta qui per una questione molto delicata.”
“Hai guai con la legge?”
“No. Non credo, almeno. Riguarda Phil, e non posso parlarne con nessuno, se non con te e Andreas. Per caso lo hai visto?”
“Andreas?”
“No, Phil.”
“Non so nemmeno che aspetto abbia.”
“In base a quanto so, penso che lo noteresti, se lo vedessi. Hai invece notato delle pozze d’acqua in giro qui nel palazzo?”
“No, niente.”
“Nemmeno a detta di Andreas e Lalore?”
“Mi dici che sta succedendo?”
“Phil è scomparso,” rispose Billa.
Fumagalli la guardò: il suo sguardo era spento, e la sua postura affranta, come schiacciata da una grande angoscia.
“Vieni in cucina, c’è una ciotolina con della frutta,” la invitò.
Lì Billa becchettò un po’ della mela che Lalore aveva lasciato per Fumagalli, poi i due si sedettero sul divano.
“Raccontami che cosa è successo.”
“Ieri sera ho deposto un uovo. Come implicitamente concordato, sono andata verso lo scatolone di Phil, ho becchettato il segnale convenuto e mi sono voltata, affinché lui potesse prendere l’uovo e portarlo dentro per mangiarlo. In genere lo sento: percepisco i suoi artigli poggiarsi sul pavimento, il suo fiato di bestia della classe Mammalia, e il rumore di lui che si mette delicatamente l’uovo in bocca per portarlo nella sua scatola. Però ieri sera no. Ho provato a richiamarlo una, due, tre volte, ma niente. Così mi sono riavvicinata alla scatola e gli ho detto che l’avrei aperta. Mi immaginavo che si sarebbe liquefatto, come al suo solito. E invece…”
“Invece?”
“Invece niente: tutto asciutto, e c’era anche l’uovo del giorno prima. Ho controllato ovunque, credimi, ma niente.”
“Forse, così come tu hai dei tuoi giri, anche lui potrebbe averne. In fondo, da quanto lo conosci? Due settimane?”
“Sì, ti darei ragione se fosse stato un cane, o un gatto-”
“Lascia perdere i gatti.”
Billa continuò:
“Phil è uno squonk: è un animale estremamente timido, che non vuole farsi vedere, che ha una autostima pari a zero, nonché paura del giudizio altrui. No, non ha giri. Però c’è una cosa…”
Billa esitò: guardò Fumagalli inclinando la testa rapidamente e ripetutamente, per studiarlo. Infine parlò:
“So che non hai molta stima di me, anche se apprezzo il tuo cercare di essere non solo civile, ma anche gentile con me, però non so con chi altri parlare. Perciò ti chiedo: secondo te Phil può essere arrabbiato con me?”
“Arrabbiato? Ma perché? Gli hai dato un tetto sulla testa, lo hai sfamato… Perché dovrebbe esserlo?”
“Perché… Perché non sono stata brava a procurargli subito una sistemazione migliore. Una scatola di un vecchio televisore: andiamo, roba da chiamare la protezione animali. Oh no!”
“Che cosa?”
“E se fosse veramente andato da qualche associazione animalista? Te li immagini i titoli sui loro giornali: ‘le galline hanno la memoria corta: ovaiola mette uno squonk in un lager di cartone’… Ahi!”
Fumagalli le aveva tirato una penna dell’ala, facendo attenzione a non sfilargliela dalla pelle: il piumaggio stava ricrescendo, e sarebbe stato un peccato tirargliene via anche solo una.
“Calmati, stai davvero esagerando. Forse si sta facendo una passeggiata, o forse vuole trovare altri squonk a Milano… Ad ogni modo, tu adesso torna dal signor Cavalleri, fatti fare una camomilla e rilassati: non c’è altro che puoi fare. Non vorrai mica metterti a setacciare la città?!”
“Va bene, mi hai convinta.”
Billa svolazzò giù dal divano e si avviò verso la porta, seguita da Fumagalli, il quale aggiunse:
“Fammi sapere. Ecco, aspetta,” deviò verso il soggiorno e ne uscì con un pezzo di carta che poggiò davanti a lei, “non ho un numero di telefono privato, ma ho Skype e una mail.”
“Grazie, ma non ho un computer o uno smartphone.”
“Be’, prendili comunque, non si sa mai.”
I due si salutarono, poi Fumagalli le chiese di chiudere la porta esattamente come l’aveva trovata.
“Certo. Comunque: bel dipinto,” poi Billa sparì dietro la porta.
Fumagalli, che non aveva nessun attaccamento a Phil, si ricordò a malapena di quella faccenda quando la sera Andreas ritornò a casa, e non gliene parlò. Il giorno seguente, dopo una notte di sonno nel tepore dei riscaladamenti appena accesi, non esisteva più nessun Phil nella sua mente.
I giorni proseguirono normalmente fino a che, in una mattina da solo a casa, Fumagalli si accorse di avere una nuova mail sul proprio computer, proveniente da un indirizzo piuttosto criptico e sconosciuto. Aveva solo l’oggetto, senza alcun testo:
ti conosco
Fumagalli cestinò immediatamente la mail, ed ebbe invece una delle sue solite conversazioni Skype con la signora Piacentini.
Quando la terminò, soddisfatto per aver aiutato la donna a fare del brainstorming per la sua nuova storia, e ammaliato dall’idea di andare a fare un piccolo snack in cucina, si accorse di aver ricevuto altre due mail, simili alla precedente. Una diceva:
perché non rispondi
e l’altra:
mi conoscerai
Fumagalli cancellò anche quelle mail, ma gli si chiuse lo stomaco, e passeggiò lento per la casa.
Fu lì, nel corridoio dell’ingresso, che notò un pezzo di carta sullo zerbino, come passato da sotto la porta.
A prima vista sembrava bianco e vuoto, ma Fumagalli era attento ai dettagli e notò subito che il foglio aveva subìto delle pressioni in alcuni punti, come se qualcuno avesse scritto a penna su un foglio immediatamente sopra di esso. Incuriosito, prese il foglio nel becco e tornò in salotto, dove la luce era migliore. Inclinò la testa varie volte e vide che i solchi non erano però morbidi come quelli lasciati da una penna a sfera, me netti e profondi come quelli di una lama di un coltello molto affilato:
eccomi
Fumagalli urlò e cominciò ad aggirarsi nervosamente nella stanza. Poi gli venne in mente una sola cosa da fare: urlare ancora, ma questa volta in modo articolato.
“Billa! Billa! Bil…”
Si interruppe: davvero la stava chiamando, si chiese? Si diede dello stupido, ma quando si voltò, Billa era già alle sue spalle.
“Come diavolo hai fatto ad essere così veloce ad aprire sia la porta di casa del signor Cavalleri, che questa?”
“Ormai sono pratica. Ti ho sentito chiamarmi: tutto ok?”
“No… Sì… no…”
“Sì o no?”
“Guarda questo.”
Fumagalli la condusse in salotto e indicò il foglio, mentre le spiegava delle strane comunicazioni che aveva ricevuto quella mattina.
“Forse è qualche scherzo. Anzi, lo sarà di sicuro,” le disse, “però devi ammettere che si tratta di qualcuno che non solo ha il mio indirizzo mail, ma che sa anche dove abito. È uno scherzo abbastanza inquietante.”
Billa non fiatò e mosse solo la testa rapidamente. Poi prese il foglio di carta nel becco e lo voltò fronte-retro.
“Aspetta!” le disse allora Fumagalli, “guarda lì: c’è una piccola scritta stampata.”
“Hai ragione. Che cosa…”
Era il nome di una banca, e Billa esclamò:
“Proprio ieri sera il signor Cavalleri ha ricevuto per posta un estratto del conto corrente : indovina di quale banca è cliente?”
“Quindi questo foglio potrebbe essere un pezzo della comunicazione bancaria che ha ricevuto ieri il signor Cavalleri?”
“Credo di aver capito. Vieni, andiamo da me.”
“Ma il signor Cavalleri…”
“È in ospedale, gli stanno togliendo il gesso.”
Billa lo condusse subito alla soglia del soggiorno di quella che era ormai la propria abitazione.
“Phil è forse tornato?” chiese Fumagalli.
“Sì, ieri mattina. E credo che sappia del tuo indirizzo mail per causa mia.”
Fumagalli urlò:
“Ma perché?”
“Perché quando è tornato mi sono arrabbiata con lui. Lo so, non avrei dovuto, oltretutto non risponde mai perché è così riservato e timido. Così gli ho detto che la prossima volta che si vuole fare un giro deve chiamare… te.”
“Me?”
“Non potevo dargli il numero del signor Cavalleri, visto che lui non sa nemmeno della sua esistenza.”
“Ma allora… Ma allora è stato lui? Perché mi minaccia?”
Fumagalli prese ad avviarsi a passo svelto nel soggiorno:
“Phil? Che cosa vuoi da me?”
Silenzio, se non il rumore, peraltro molto sinistro, di unghie che ticchettavano all’interno della scatola.
“Che succede?” chiese Billa, avvicinatasi anche lei.
“Conosco quel rumore: sono unghie che battono su uno schermo. Aspetta.”
Fumagalli tornò nel proprio appartamento, che Billa aveva lasciato aperto: come aveva intuito, aveva ricevuto una mail, dal solito indirizzo:
voglio esserti amico
“Phil!” urlò Fumagalli, che ormai aveva capito come gestire quella bizzarra comunicazione, “perché non parli, allora?”
La mail di risposta arrivò subito:
ho una brutta voce, mi vergogno
“Quindi vuoi avere un rapporto epistolare, fatto di mail e bigliettini?”
sarebbe un inizio
“Va bene. Ma, per curiosità, da dove scrivi?”
la mia nuova terapista mi ha dato un telefono
“Quindi sei scomparso per andare da una terapista?” urlò Billa, che era ora anche lei accanto a Fumagalli, il quale, a sua volta, urlò:
“Piantala di piombare in casa così all’improvviso.”
“La porta era aperta.”
Arrivò la mail:

“Sono molto fiera di te, Phil, per aver deciso di affrontare il problema del rapporto con il tuo corpo,” urlò Billa, poi disse, normalmente, “Fumagalli, io non sono brava con la tecnologia: potresti aiutare tu Phil, rispondendo alle sue mail, diventando suo amico?”
“Certo.”
“Grazie. Vado. Sì sì,” disse Billa quando vide che Fumagalli stava per aggiungere qualcosa, “lo so: devo chiudere la porta come l’ho trovata.”
“In realtà volevo farti i complimenti per avermi aiutato a risolvere il caso: sei stata determinante.”
“In fondo non siamo una cattiva squadra.”
Fumagalli si stupì per non aver avuto l’istinto di urlare, a quelle parole.

  1. Visto che sarebbe poco narrativamente credibile introdurre un cane e farne sentire la mancanza ai personaggi, l’elaborazione del prompt non è letterale.