Il Pallino della bionda

Blahbarian – Prompt:

Scrivi una scena che includa un personaggio parlare una lingua straniera, o parlare in un modo incomprensibile agli altri personaggi.

“Mani lifanto Robi, come d’esempio la supercazzola, marimaro bruciata, d’antani settimana.”
“Come scusa?” chiese Fumagalli.
“Dicevo che secondo me la Robi si starà mangiando le mani, perché per questo prompt poteva usare la supercazzola, e invece se l’è bruciata qualche settimana fa,” disse Andreas mentre si metteva le scarpe.
“Guarda che sei stato tu ad avergliela bruciata, perché quella fu una tua idea.”
“Sei un pavone così precisino e polemico, non so come ti sopportino i tuoi studen-”
“Allievi, prego.”
“Ecco, appunto. Muoviamoci, ché siamo già in ritardo,” e uscirono fuori dall’appartamento.
Le giornate si erano notevolmente allungate: finalmente, la primavera era arrivata a Milano. E anche Salone del mobile e Fuorisalone: le metro della linea rossa in direzione Rho Fiera erano colme in qualunque fermata le si prendessero. Così Andreas e Fumagalli attesero la prima che andasse sull’altra diramazione, per aver più spazio.
Poi, all’altezza di Porta Venezia, le porte della metro rimasero aperte un po’ più a lungo del solito, e dagli altoparlanti della stazione arrivò un messaggio.
“Eh? Tu hai capito?” chiese Andreas a Fumagalli.
Fumagalli gridò.
Si guardarono intorno in cerca di un riscontro, ma i passeggeri erano tutti in: indifferenti, insofferenti, indolenti, intenti a leggere dagli schermi dei loro smartphone.
“Magari lo ripeteranno a breve,” disse tranquillo Fumagalli.
“Il prompt parla di cose che non si capiscono, perciò anche riascoltandolo, non lo capiremmo comun-”
“Aspetta: stanno dicendo di nuovo qualcosa…” lo interruppe Fumagalli. Attese la fine del discorso della voce, inclinando la testa sui lati varie volte, e poi gridò di nuovo.
“Che ti avevo detto?” disse Andreas con aria quasi trionfante, “probabilmente è la solita storia della circolazione della M1 sospesa tra qualche stazione. Scendiamo, così vediamo di prenderci un autobus o altro.”
Appena misero piedi e zampe sulla pensilina, il convoglio richiuse le porte e partì per proseguire la corsa, con tutti i passeggeri in al suo interno. Poi, di nuovo un messaggio dagli speaker, ancora incomprensibile.
“Forse sta dicendo che la circolazione è ripresa…” si giustificò Andreas.
“Guarda che ha detto chiaramente la parola salone. Secondo me stanno solo dando indicazioni ai turisti in una qualche lingua straniera.”
Attesero la prima metro abbastanza scarica e arrivarono finalmente a Duomo, dove Lalore doveva stare già aspettandoli da trenta, se non quaranta minuti.
La trovarono nella piazza antistante il Palazzo Reale, che parlava con due uomini: uno molto alto, con capelli neri e occhi ancora più neri, e uno di corporatura scultorea, e quest’ultimo aggettivo poteva essere usato, anche se con significato diverso, per i suoi capelli. Anche lei sembrava parlare come gli altoparlanti della M1: Andreas e Fumagalli non capirono che cosa stessero dicendo.
Lalore accolse Andreas con un bacio sulle labbra e carezzò Fumagalli, poi chiese un attimo per poter salutare i due, in quel suo linguaggio incomprensibile.
“Scusatemi,” spiegò poi in italiano, quando i due uomini si furono allontanati, “mentre vi aspettavo quei due turisti francesi, che appartenevano al gruppo al quale avevo fatto da guida, mi hanno chiesto un po’ di consigli sulle attrazioni storiche della città.”
“Scusaci tu,” le rispose Fumagalli, “siamo noi che siamo arrivati in ritardo. I tuoi amici sono già lì al locale ad aspettarci?”
“Penso di sì, ma non preoccupatevi. L’importante è stare tutti insieme.”
Infatti, non solo era il periodo primaverile e la settimana del Salone del mobile, ma quel giorno era anche il compleanno di Lalore, la quale aveva deciso di festeggiare con una manciata di colleghi con un classico aperitivo.
Quando entrarono nel locale, Andreas ebbe perfino il dubbio che quello fosse lo stesso posto dell’anno prima e di quello prima ancora. Allo stesso modo, esattamente come l’anno prima e quello prima ancora, si chiese chi fossero quelle persone. Fino a un quarto d’ora dopo, quando entrò qualcuno che conosceva bene: la bionda del Mudec.
Lalore la salutò con un generico ‘ciao cara’ e aggiunse, indicando Andreas e Fumagalli, che le stavano vicini:
“Vi conoscete già, vero?”
“Sì,” rispose immediatamente la bionda, e Andreas non poté fare altro che usare la mano che aveva allungato per presentarsi per afferrare il bicchiere di cocktail analcolico che il cameriere gli aveva da poco servito.
“Mi sa che lì c’è ancora un posto,” disse Fumagalli, inclinando la testa verso il bordo opposto del tavolo.
“Ah, non preoccuparti, sono solo passata per un saluto. Sai che sei un bel pavone? L’altra volta al torneo non ho avuto modo di dirtelo, ma sei stato una bella mascotte.”
“Anche la vostra squadra ne aveva una molto bella,” disse Lalore, “ora che ci penso: era il tuo gatto. Come si chiama?”
“Pallino,” rispose la bionda.
Fumagalli gridò, sovrastando il brusio del locale.
“Come Pallino?” chiese Andreas.
La bionda assunse un’aria seria, la stessa che aveva assunto al Mudec quando polemizzò sull’incoerenza del nome di Fumagalli con quello delle opere in mostra. Disse:
“Sì, Pallino. Perché? L’avessi chiamato che so…”
“Odoacre,” continuò Andreas.
“Odoacre, o Baldassarre, allora ok. Ma Birba, Felix, Pallino, sono dei classici.”
“Immagino che da cucciolo fosse veramente una pallina,” disse Lalore. La bionda confermò e sorrise. Poi, dopo qualche chiacchiera di rito con Lalore, e un breve saluto alla comitiva, la bionda se ne andò e la serata continuò tranquilla, esattamente come quella dell’anno prima e di quello prima ancora. Ciò, fino a verso le undici, quando la festa volse al termine, e tutti si accomiatarono.
Lalore, Andreas e Fumagalli si diressero verso casa. Sulla metro, piena di turisti, Fumagalli si divertiva a chiedere a Lalore quali fossero le lingue che sentivano:
“Spagnolo… Greco… Norvegese… No, aspetta, è svedese.”
Quando Lalore si apprestò a posizionarsi vicino alla porta per scendere, Andreas disse:
“Scusa, devo risolvere una faccenda. Tu comincia pure ad andare a casa.”
“Non vieni?” chiese Lalore con la faccia triste.
“Ma certo, dopo.”
Fumagalli scosse le penne e disse:
“Allora ciao Andreas, ci vediamo a casa.”
“No, tu vieni con me.”
Lalore sbiancò e Fumagalli le si avvicinò alle gambe:
“Non so di che cosa si tratti, ma torniamo prestissimo.”
Lalore, con aria assente, annuì e scese dalla metro. Poi si voltò verso di loro: aveva il broncio e gli occhi quasi lucidi. Quando le porte si richiusero, era ancora lì.
“Spero che tu abbia un motivo decente per questa porcheria che hai appena fatto a Lalore.”
“Sì: una sorpresa.”
“Ah, per una volta devo ricredermi. Certo, avresti potuto preparargliela prima, perché adesso Lalore c’è rimasta molto male, mentre tu hai fatto la figura dello sprovveduto che si è ridotto a oltre l’ultimo minuto.”
“Ma che hai capito: andiamo a fare una sorpresa a Odoacre. Pardon, Pallino,” e rise appena pronunciò il vero nome del gatto.
Fumagalli si lamentò di quell’idea fatta a spese di Lalore per tutte le rimanenti fermate di viaggio in metro, e anche per tutto il tragitto fino a uno dei soliti bar dove Odoacre era solito bazzicare. Lo trovarono quasi subito, seduto al bancone.
“Pallino! Pallino-ino-ino!” esordì Andreas.
Odoacre soffiò, saltò dallo sgabello e andò fuori dal locale. Andreas lo rincorse e Fumagalli li seguì. Odoacre era solo a pochi passi fuori dall’ingresso del locale, giusto in modo da non farsi sentire da quelli che erano rimasti dentro.
“Ve lo ha detto lei, quella gatta morta, vero?” disse Odoacre.
“Che male c’è?” disse Andreas con il tono di qualcuno che sta parlando con un infante.
“Che io mi sono scelto un altro nome, non quel ridicolo epiteto.”
“Non credo che lei lo abbai fatto con cattiveria,” disse Fumagalli.
“Probabile, ma a me piace più Odoacre, per ovvi motivi storici.”
Odoacre attese una reazione da parte di Andreas e Fumagalli, poi si arrese e disse:
“Odoacre è stato il primo re d’Italia.”
Andreas scoppiò a ridere, e prese a denigrare il gatto, diagnosticandogli ciò che definì delirium felis.
Odoacre soffiò e disse:
“Lo vedrai.”
Fumagalli gridò, perché secondo lui quel gatto non andava preso alla leggera, così si affrettò a dire:
“Andreas, se non hai altro da aggiungere, adesso dobbiamo andare. Odoacre, buon proseguimento.”
Il gatto, molto elegantemente, rientrò nel locale, e Fumagalli riprese a lamentarsi del comportamento di Andreas:
“Davvero, spero che tu sia soddisfatto. Hai lasciato Lalore rientrare da sola per cosa? Uno sfottò da liceale? Sono molto deluso.”
“Dai, hai visto come è scappato dal bar quando l’ho chiamato col suo vero nome?”
“Non mi interessa. Ascoltami bene: ci fermiamo al supermercato 24/7 e compriamo qualcosa di carino per Lalore, così almeno siamo giustificati.”
“Ma le ho già comprato dei cioccolatini per regalo.”
Fumagalli gridò:
“Come sei originale. Scommetto che glieli hai regalati anche l’anno scorso e quello prima.”
Giunsero al negozio e Fumagalli forzò Andreas a comprare una piccola torta al cioccolato, delle candeline e una gift card.
Dall’uscita del negozio fino all’ingresso nell’appartamento, fu Andreas a lamentarsi per la spesa che Fumagalli l’aveva obbligato a fare.
“Stai zitto, e spera solo che questo basti a farti perdonare.”
“Ti ho già detto che sei un pavone polemico?”