Pesci d’aprile

Pranks and Perspective – Prompt:

Scrivi una storia o una scena riguardo un personaggio che fa uno scherzo a un altro. Descrivi la scena dal punto di vista dei due personaggi.

“Secondo te la Robi farà la descrizione di quanto stiamo facendo in prima persona, usando te o me come punto di vista?” chiese Andreas a Fumagalli mentre erano in metro.
“No, secondo me manterrà la terza persona, facendo in modo che noi restiamo insieme per tutta la durata della scena, così da averci entrambi come unico punto di vista,” rispose Fumagalli.
“Io penso che sarebbe meglio la prima persona, anche per far vedere più nettamente il cambio di prospettiva richiesto dal prompt.”
Era la domenica di Pasqua, coincidente con il primo aprile: Fumagalli e Andreas si stavano recando molto vicino al posto di lavoro di Lalore, nel quale lei si trovava già da un paio di ore.
Scesero perciò alla fermata Duomo e si fermarono a una panchetta, dove Andreas si tolse lo zaino, poi la felpa con cerniera che indossava. Quindi rimise lo zaino, ma con la sacca sul davanti, e poi la felpa, sopra di esso.
“Come ti sembro?” chiese a Fumagalli.
“Come uno che ha anticipato l’abbuffata di Pasqua di una famiglia meridionale.”
“Bene. Allora, si va?”
Fumagalli gridò, e uscirono dalla metro. In pochi minuti, furono dentro il Museo del Novecento, al cui ingresso Andreas aveva già in mano la sua tessera per gli ingressi gratis nei musei, quando la donna al bancone lo riprese:
“Signore! Gli animali non sono ammessi nel museo!”
“Ah, si riferisce per caso al mio amico Fumagalli? Guardi che lui non è un animale: è un valido insegnante di disegno, e anche un artista. Ha esposto al Mudec, pensi,” spiegò Andreas, senza dire in quale mostra per non incappare nel malinteso che si era generato con la bionda qualche settimana prima.
“Davvero?” chiese l’addetta, dubbiosa.
“Certamente,” disse Fumagalli, “e sono un grande ammiratore di Boccioni. Penso che vedere i suoi lavori qui dal vivo sarebbe per me una novella fonte di ispirazione.”
“Eh…” l’addetta si guardò intorno, come in cerca di una conferma o almeno di un parere, ma non c’era nessuno se non l’addetto alla sicurezza, alto due metri. Perciò si limitò a dire:
“Va bene, però se non ha la tessera deve pagare come un adulto.”
Così, Andreas e Fumagalli entrarono e percorsero la rampa a spirale che portava verso l’inizio della visita.
“Fumagalli, mi raccomando. Come dice il Perozzi di Amici miei: fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. Per le prime tre siamo a posto, ci resta solo l’ultima.”
All’ingresso del percorso della mostra, vennero accolti dall’uomo che staccava i biglietti:
“Ma, signore, questo qui è-”
“Sì, è un artista che ha esposto anche nel Mudec. Non dovreste essere da meno, e mettere anche un suo quadro qui, prima o poi.”
L’uomo non rispose alle parole di Andreas, come nemmeno all’urlo che Fumagalli fece per rimarcare quanto era stato appena detto: con un filo di forza staccò il biglietto di Fumagalli, poi si accasciò sulla sedia che aveva lì vicino.
I due si addentrarono nel corridoio iniziale della visita, con le opere di inizio 900.
“Pare che ci siamo solo noi, qua dentro. Dove sarebbe il posto?” chiese Fumagalli ad Andreas, che un paio di giorni prima era andato a perlustrare il museo.
“Poco più avanti: è l’unico posto senza telecamere e dove nessuno ci può vedere, se siamo rapidi.”
“Sì, me lo hai già detto. Velocità, l’ultimo punto del Perozzi.”
Si addentrarono fino a una zona che sulla destra aveva dei quadri esposti, e sulla sinistra delle colonne che delimitavano una piccola area vuota, defilata rispetto al corridoio principale, con delle sedie per far riposare i visitatori già stanchi.
“Qui?” chiese Fumagalli, “su quelle sedie? Possibile che in tutto il museo non c’è nemmeno uno spazietto lasciato vuoto da un quadro in restauro, o da uno prestato a qualche mostra?”
“Te l’ho spiegato anche prima, questo è l’unico posto. Non ci può nemmeno vedere il tizio che stacca i biglietti, da questa angolazione,” disse Andreas andando verso le sedie, e abbassando la cerniera della felpa, dopo una discreta occhiata in tutte le direzioni.
Fumagalli emise un grido, ed Andreas quasi saltò dallo spavento.
“Scusa, ma quello è un quadro del Boccioni. Fammelo vedere, prima.”
Fumagalli stette un po’ a guardare il quadro, e poi a leggere la descrizione. Disse:
“Guarda, Andreas, guarda il dinamismo-”
“Si chiama proprio così, questa cosa che ti fa girar la testa.”
Fumagalli scosse le penne, poi aggiunse:
“La sto girando per vedere meglio l’opera, da più prospettive. Va be’, è meglio se lascio perdere: tu sei un illetterato dell’arte. Non so come faccia Lalore a stare con te.”
“No, tu lascia perdere e vieni a darmi una mano.”
Sulle sedie, Andreas si tolse lo zaino e ne estrasse fuori un cartellino rigido, e poi vari oggetti che distribuiva più o meno casualmente sulle sedie e anche per terra: un pacco di pasta a metà, un rimasuglio di un panetto di margarina, una discreta quantità di bustine sfuse di tè, un anticalcare così vuoto da avere la confezione spray deformata, e molti altri oggetti che sembravano essere stati presi a caso dai mobili della casa.
Fumagalli, invece, si occupò del cartellino, che spostò col becco a una distanza ottimale dagli oggetti che Andreas stava sistemando:
Autore: Andrej Pavlov; Titolo: Dis-pensa; Data: 1963; Tecnica: materiale della GDO su sedia. La regia spaziale della composizione degli oggetti, rappresentanti del consumismo domestico, si impone per sinteticità e incidenza. La critica al consumismo si inquadra perfettamente al periodo storico e culturale nel quale l’artista viveva, facendone da cornice ideale, ma la giocosità dell’opera denota già il rinnovato interesse di Andrej Pavlov per la spensieratezza, caratterizzante il suo periodo successivo.
“Peccato a non aver fatto la traduzione in inglese della descrizione… Ma anche le noci? Hai comprato quel pacco nemmeno tre giorni fa,” chiese Fumagalli quando l’installazione del fantomatico Andrej Pavlov fu completa, indicando con il becco un sacco di plastica bluastro, chiuso con una molletta da bucato.
“Mi sono stufato di romperle per avere il gheriglio: meglio prenderle già sgusciate, è più pratico,” disse Andreas rimettendosi lo zaino e la felpa.
I due si allontanarono di qualche passo e guardarono l’opera.
Fumagalli commentò:
“Non mi piace il fatto che questa opera-scherzo stia qui. Ha uno stile troppo moderno, che non si addice a questa parte del museo con le opere di inizio 900.”
“Io trovo che sia invece a tema, visto che è a tre passi dalla scultura dell’omino dei 20 centesimi. Prego,” disse infine Andreas facendosi da parte: tre visitatrici asiatiche erano dietro di loro, con l’intenzione di vedere l’opera.
I due, con discrezione e calma, si allontanarono.
“Siamo stati grandi,” disse Andreas, ogni tanto voltandosi indietro per vedere chi osservava l’opera.
“Secondo te quando si accorgeranno che è tutto uno scherzo?”
“In teoria, mai. In pratica, appena qualcuno degli ingredienti comincerà ad andare a male. Però basta, direi che lo scherzo è durato anche troppo: non vedo l’ora di tornare a casa e di mettermi sul divano e guardare un po’ di tv, perché domani mi aspetta una giornataccia, con la storia della scampagnata…”

Qualche ora prima dello scherzo che Andreas, con l’aiuto di Fumagalli, aveva perpetrato ai danni del Museo del Novecento, Lalore era in cucina, ancora in pigiama, del tutto ignara di essere, per la prima volta, il punto di vista di una scena.
Aveva appena finito di preparare le lasagne, e messo in frigo una teglia con le bistecche e le patate a marinare. Certo, ad Andreas piaceva di più il pollo al forno, con la pellicina croccante, ma da quando c’era Fumagalli in casa le sembrava inopportuno cucinare i suoi lontani parenti.
Si preparò una tazza di tè, e poi si sedette sul divano di Fumagalli. Portò il telefono all’orecchio, e giocherellò con il filo della bustina mentre aspettava che la madre le rispondesse.
“Non ti è proprio stato possibile prendere il giorno di ferie?” esordì la signora Piacentini appena augurata la buona Pasqua alla figlia.
“Domani: Andreas, Fumagalli e io faremo una scampagnata.”
“Pioverà sicuramente.”
Lalore sorrise:
“Tu e Andreas avete molto più in comune di quanto tu non creda.”
“Ah, per favore. Io non passo il mio tempo libero rinchiusa in casa a dormire o a guardare la televisione stravaccata sul divano.”
“Mamma!” esclamò Lalore dando uno strattone più forte al filo della bustina del tè.
“Va bene, non lo giudico. Anzi, magari potete venire alla presentazione del mio libro, questa settimana.”
“Vediamo,” disse Lalore, prevedendo quanto Andreas sarebbe stato restio, “comunque tu mandami l’indirizzo della libreria.”
“Sono due, ma già le conosci: la Feltrinelli e la Mondadori a Duomo. Non mi ricordo però se una è la mattina e l’altra il pomeriggio, o viceversa…”
“La Feltrinelli?! La Mondadori?!”
La signora Piacentini rise:
“Pesce d’aprile! Si tratta solo di una piccola libreria indipendente a Castelverde. Te ne scrivo poi l’indirizzo.”
Lalore salutò la madre e giocò ancora con il filo della bustina.
Era vero: era il primo d’aprile. Lalore si guardò intorno, per un piccolo e innocente scherzo da fare ad Andreas. Pensò per un minuto, fino a che ebbe un’idea che la fece ridere.
Andò in salotto, prese il telecomando del televisore e decise di nasconderlo. Sotto il divano sarebbe stato troppo facile, come del resto ogni posto in quella stanza: tutto sarebbe stato passato al setaccio, quando Andreas ne avrebbe notato la mancanza.
Lalore lo portò allora in cucina, e diede un’occhiata a qualche nascondiglio ben sicuro. Vide sul frigorifero una busta di noci per la quale Andreas aveva perso l’interesse: la prese, aprì la molletta che la teneva chiusa, e vi affondò il telecomando.
Poi tornò sul divano di Fumagalli a bere il tè, e a controllare e scrivere messaggi sul telefono, ridacchiando di tanto in tanto.