Il maestro e l’amministratore

That’s Not What I Meant – Prompt:

Scrivi una storia che riguardi la confusione generata da parole omonime o omofone.

Era tutto molto calmo in salotto anche se, oltre Fumagalli, c’erano tre ospiti. Durante la cena della settimana precedente, infatti, Fumagalli si era reso conto che non aveva stimoli, visto che era quasi sempre chiuso in casa, e che doveva fare qualcosa per poter conoscere gente. Così decise di unire l’utile al dilettevole e, con l’aiuto di Lalore e Andreas, tutte le possibili stazioni della metro rossa erano state tappezzate di volantini, nei quali si leggeva che un economico ma valente maestro impartiva lezioni di disegno a studenti del liceo artistico, a quelli dei vari indirizzi degli istituti tecnico tecnologici, e ai semplici appassionati.
Avevano immediatamente risposto all’annuncio una quarantina di persone, ma molte scelsero di rinunciare appena videro il loro maestro. Lo giudicavano poco qualificato visto che, obiettivamente, Fumagalli non aveva conseguito nessun titolo di studio, e non poteva nemmeno provare di essere stato temporaneamente esposto alla mostra Anonimilanesi.
Quel giorno c’erano tre ragazzi del biennio del tecnico costruzioni ambiente e territorio e Fumagalli stava facendo vedere come fare dei rapidi e accurati schizzi di alcune architetture che prendeva a modello da delle foto su internet.
“Vedete qui, come da questa prospettiva si ha una maggiore visuale dell’arcata della chiesa?” disse Fumagalli dopo aver poggiato la matita per terra.
I tre studenti, che si erano avvicinati, si guardarono interdetti. Uno, apparentemente il più maturo, visto che aveva un accenno di peluria facciale, titubando disse:
“E quelli lì, sarebbero i due canini dell’arcata, maestro?”
Fumagalli gridò, poi spiegò:
“No, quelle sono le due finestre della parete, che viste da questo angolo non sono più rettangolari.”
I tre annuirono, meravigliati.
“Maestro, il suo tratto è molto fine e aggraziato,” disse il ragazzo più giovane.
“Grazie, ma se dovete ringraziare qualcuno per l’accoglienza che avete in questa casa, è Lalore. È lei che ha lasciato i bicchieri e i biscotti per voi.”
I tre annuirono, meravigliati.
“Va bene, direi che per oggi può bastare.”
I ragazzi riposero negli zaini i loro fogli e le matite, poi si misero i cappotti e, quasi sulla soglia del soggiorno, il più grande disse:
“Maestro, secondo lei riusciremo ad arrivare a un buon livello per fine anno?”
“Ma certo. Per il prossimo mese suggerirei di vederci per un paio di volte a settimana, e vedrete i risultati.”
“Oggi è martedì… Veniamo quindi giovedì? O preferisce venerdì?”
“E perché? Va bene martedì,” rispose Fumagalli.
“Ma… Ma lei ci ha appena detto due volte a settimana.”
“Sì.”
“Quindi… Giovedì?”
“Ci vediamo martedì prossimo.”
Il ragazzo più piccolo dei tre sembrava prossimo al pianto.
“Ragazzi, forse non ci siamo capiti. Non dovete venire qui più spesso, basta una volta a settimana. Quando verrete qui, faremo pratica sulle volte, specialmente quella d’ogiva.”
I tre annuirono, meravigliati.
Dopo pochi minuti che se ne furono andati, Lalore tornò a casa.
“Come è andata con i nuovi allievi?” gli chiese subito.
“Molto bene, anche se penso che a volte loro e io non ci capiamo.”
“Sono giovani, devi essere comprensivo.”
“Credo di esserlo. Faccio in modo da essere una figura autoritaria, e allo stesso tempo amichevole e giovanile. Ho pure parlato con loro di qualche serie TV. Però non credo che l’aver provato a essere inclusivo di qualsiasi ruolo mi abbia aiutato.”
Lalore sorrise:
“Vieni con me di là: ti preparo un tè, ti rilassi sul divano, e mi racconti come è andata mentre cucino.”
Andreas tornò dopo un’oretta e apprezzò il purè che Lalore aveva preparato per quella sera.
“Andri, sai che cosa ho pensato?” disse Lalore mentre ritirava i piatti, “che forse a Pasquetta potremmo fare una gita fuoriporta o un picnic.”
“A Pasquetta? Ma piove sempre, a Pasquetta.”
“Va be’, non è detto.”
“Ma non sarebbe meglio starcene tranquilli a casa, a riposarci?”
“Hmmm… e se andassimo alle terme? Sarebbe al chiuso, e potremmo rilassarci un po’, lì.”
“E Fumagalli? Se ce lo portassimo, potrebbero pensare che ci siamo portati la paperella per la vasca.”
Fumagalli scosse le penne vigorosamente.
“Andreas, ti pregherei di smetterla di usarmi come scusa. Penso che Lalore abbia avuto non una, ma una serie di bellissime idee. In ogni caso, se la mia presenza ti è ingombrante, potete andare tranquillamente senza di me: resterò a casa a dipingere o a preparare qualcosa per i miei allievi.”
“Ok,” si arrese Andreas, “vada per la scampagnata per tutti, ma solo se non piove, perché altrimenti non mi va di uscire fuori di casa. Ma tanto pioverà, come sempre.”
Lalore sorrise, si alzò, e lo baciò sulla fronte.
A fine cena Andreas andò in salotto per l’usuale puntata de Il trono di spade. Accese il televisore per poterlo collegare al computer, quando urlò:
“Fumagalli! Fumagalli, presto!”
Stava andando in onda un programma di approfondimento di attualità, e sullo schermo c’era un uomo molto ben vestito, dai capelli rossi, un po’ tarchiato.
“È lui! È l’uomo che mi ha dato il ciondolo patacca!” disse Andreas, tutto concitato. Saltellava anche sul posto, mentre parlava.
“Quindi secondo lei,” diceva una voce fuori campo, “questo cambio di vertice della sua azienda non è negativo?”
“Mah, ci sono sicuramente più spazi per giocare.”
“Intende dire altalene e scivoli?”
“Anche, ma soprattutto tavoli per giocare a carte o a Monopoli in pausa pranzo, e bersagli per il tiro con le freccette.”
Andreas commentò:
“Ah, ma che cavolo stanno dicendo? Che ditta è, la Ravensburger?”
Fumagalli urlò, intimando così il silenzio. La voce fuoricampo continuava:
“La maggior parte dei dipendenti però manifesta il proprio malcontento,” e apparve l’immagine di un omino secco secco, con degli occhiali enormi, anche lui ben vestito. Questi disse:
“Noi non vogliamo che la ditta venga diretta da uno che non ha nemmeno la prima elementare. Il nostro vecchio amministratore delegato forse era una frana a giocare a rimpiattino, ma aveva preso un master a Oxford. Non è giusto che per un’attività ludica totalmente estranea all’attività dell’azienda, ora il nostro nuovo amministratore delegato debba essere questo tizio, questo signor… Non ha nemmeno un cognome. E non è nemmeno un signore.”
Andreas si portò le mani alla testa e saltellò, prima su un piede, poi sull’altro:
“Oh no! Oh no! Non può essere, non può!”
Apparve sullo schermo l’immagine di un bell’ufficio luminoso, con una scrivania in legno chiaro e vasi con piante ed erba gatta ovunque. Al centro c’era una sedia da ufficio, di cui si vedeva solo lo schienale. Un uomo la girò e, ben composto, si palesò Odoacre.
“Capisco le recriminazioni di alcuni dipendenti,” disse, “ma ci tengo a precisare che se io ora sono qui, è stato per un rischio mal calcolato del precedente amministratore delegato, che avrebbe dovuto chiaramente valutare meglio le proprie qualità al rimpiattino, prima di scommettere l’azienda con me. Mi sento quindi di dire che è proprio in virtù di questo comportamento sconsiderato che penso di poter fare meglio di lui: io so rischiare in modo oculato, e il tempo mi permetterà di dimostrare non solo questo, ma anche che la mia strategia sarà vincente.”
E fece un paio di fusa.
Cominciò la sigla finale del programma e Andreas, come sfinito emotivamente e fisicamente per il moto, si accasciò sul divano.
“Quel gattaccio è diventato amministratore delegato! Tu hai capito di che si occupa questa ditta?”
“Forse di ciondoli?” azzardò Fumagalli.
“Non credo, altrimenti il tizio con i capelli rossi me lo avrebbe detto, quando lo incontrai qualche settimana fa. Penso che quello sia stato solo il prompt che ha usato la Robi.”
“Eppure il marchio di Odoacre era impresso sul ciondolo. Dammi retta, è solo quello.”
“Sarà, ma ho un cattivo presentimento…”
Poi, improvvisamente, Andreas sbiancò:
“Oh no! Oh no!” disse, portandosi le mani nei capelli.
“Che c’è?” chiese Fumagalli guardando prima Andreas, poi lo schermo del televisore.
“Il lunedì di Pasquetta è previsto bel tempo! Maledetta, spero che alla Robi venga il raffreddore per questo quasi pesce d’aprile che mi ha giocato1.”

  1. Effettivamente all’autrice è venuto il raffreddore, ma solo nella serata del 2 aprile.