Una serata in salotto

Thou Mayest – Prompt:

Scrivi una scena o una storia su un personaggio che ha commesso un misfatto (un crimine o qualcosa di meno grave) e deve decidere se nascondere quanto ha fatto, oppure affrontarne le conseguenze e fare ammenda per l’atto, oppure evitarle.

“Andri! Hanno suonato, vai tu? Io sto lavando i piatti.”
“Vorrei proprio sapere chi viene da noi a quest’ora della sera, con questo freddo e con la neve,” brontolò Andreas mentre si alzava dal divano.
Una volta alla porta, si incuriosì, e non solo perché non si aspettava quella visita: era sì qualcuno che conosceva, ma non sapeva se ancora ne conosceva l’identità, e se ne accertò mentre faceva accomodare l’ospite inatteso.
“Sì,” gli disse questi, “sono ancora Brian. Salinks è ancora al lavoro sulla mia storia. Visto che al momento sono di nuovo in narrazione, come Brian si rassegnò ad aspettare il rientro dell’avvocato Smith, previsto di lì a due giorni, ho pensato di passarvi a trovare.”
“Sì, ma come ci hai trovati a Milano?”
“Sono un investigatore privato, è stato facile, specialmente grazie al tuo amico Fumagalli.”
Entrati in cucina, Andreas disse:
“Ti presento Lalore.”
“Ah, la tua ragazza.”
Lalore poggiò sul lavandino il piatto che stava asciugando, poi strofinò le mani sullo strofinaccio che stava usando, e strinse quella di Brian.
“Bella e brava donna di casa,” le disse.
Lalore accennò un sorriso, che si aprì un po’ di più quando Fumagalli, che si era unito a loro, aggiunse:
“E pensa che parla anche correntemente tre lingue.”
“Vieni, vieni Brian,” disse Andreas tirandosi Brian per il braccio, “andiamo a chiacchierare un po’ in salotto.”
I due si sedettero sul divano.
“La tua autrice ha buon gusto,” disse Brian guardando la stanza, “ti ha messo proprio in un bell’appartamento.”
“Non posso lamentarmi, vero. E tu, invece? Mi sembra di capire che il tuo caso va a rilento.”
“Decisamente. Salinks si sta dando da fare in questa storia. Sta migliorando molto nell’intreccio, anche se lo stile resta sempre molto asciutto, quasi telegrafico.”
“Qualche nuovo sviluppo, se possiamo chiedere?” domandò Fumagalli.
“Certo che potete. Salinks mi fa sempre lavorare da solo e mi fa piacere parlare con qualcuno. Al momento sono in attesa dell’avvocato Smith, che ha delle importanti informazioni sull’identità di un membro di spicco dell’associazione parastatale di cui vi avevo accennato l’altra volta. Un essere diabolico, dicono molte persone che ho incontrato durante l’indagine e che l’hanno conosciuto.”
“Ma lo sai che forse ti possiamo dare noi una dritta?” disse Andreas.
“Voi?” esclamò Brian.
“Devi cercare Odoacre il gatto. È un mostro. Qualche settimana fa ha appestato i computer di mezza Italia. Mi ha fatto perfino tatuare.”
Brian rimase a pensare un po’ in silenzio, con la mano sul mento, poi disse:
“No, impossibile, per due motivi. Il primo, è che Salinks scrive solo di umani, perciò questo tizio non può essere un gatto. E poi noi viviamo storie parallele, che perciò non possono incrociarsi. Almeno nelle mie, di scene.”
“Ragazzi, mi sono permessa di portarvi qualcosa da bere.”
Lalore era entrata in salotto con un vassoio pieno di bevande, tre bicchieri, una ciotolina con delle arachidi, una con delle patatine, e una con delle granaglie, ovviamente per Fumagalli.
La cosa in sé non stupì Andreas, ma rimase un po’ a guardarla mentre lei si sedeva in poltrona, perché qualcosa non gli quadrava. Fumagalli notò lo sguardo perplesso dell’amico e urlò soltanto. Quando ebbe l’attenzione di Andreas, mosse molto discretamente la testa in direzione delle gambe di Lalore: erano scoperte, perché a differenza di poco prima, ora indossava una gonna.
Andreas, ricordandosi di quanta esperienza Brian avesse accumulato in fatto di donne, decise di smuovere la cosa e si alzò:
“Grazie Lalore, ma Brian stava giusto andando via.”
Brian non disse nulla, ma si mise in piedi e andò da Lalore:
“È stato un piacere, spero di rivederti in qualche altra occasione.”
Andreas e Fumagalli lo accompagnarono alla porta e lì Andreas, a voce bassa, disse:
“Senti, visto che hai un paio di giorni liberi, non è che potresti farmi un favore?”
“Dimmi.”
“Potresti scoprire dove abita il gattaccio di cui ti dicevo prima?”
Fumagalli, che aveva una mente fina e conosceva bene Andreas, agitò un po’ le penne.
“Certo che posso,” disse Brian appoggiandosi allo stipite della porta, “che cosa sapete di lui?”
“È un gattone rosso e grosso. Bazzica sempre in qualche bar nella zona del parco della Martesana. E ha una padrona con dei bei capelli biondi che lavora al Mudec.”
A queste ultime parole, Fumagalli scosse decisamente le penne, al punto che Brian gli chiese se tutto andasse bene.
“Certe cose,” disse soltanto, “sarebbe meglio non saperle, mentre altre andrebbero apprezzate e vissute meglio.”
“Ah,” si intromise Andreas, “lascialo perdere. Dimmi, ti basta quanto ti ho detto?”
“Se non hai altro, me lo farò bastare. Se ti viene in mente altro, questo è il mio numero, almeno fino a che resto Brian.”
Andreas gli diede il proprio, e poi i tre si salutarono.
“Tu,” disse Fumgalli, “muoviti e vai da Lalore. Non lasciarla sola senza motivo, dopo questa cosa orrenda che hai chiesto a Brian di fare.”
Andreas sbuffò, ma raggiunse la sua donna in salotto, dove cominciarono a guardare il quarto episodio de Il trono di Spade.
Durante una scena nella quale Andreas si era perso e si chiedeva disperatamente a chi i due personaggi che erano di scena si potessero mai riferire, il suo telefono squillò.
“Metto in pausa,” chiese Lalore.
“No, continua pure. Magari dopo mi fai tu un riassunto,” disse Andreas, che si avviò verso la cucina, seguito da Fumagalli. Lì, accettò la chiamata e mise il vivavoce.
“Andreas,” disse Brian, “l’ho trovato. È stato molto facile perché i gatti parlanti rossi sono molto rari.”
“Grande! E che cosa hai scoperto? Qualcosa sul cognome, o l’indirizzo o, che so, il nome della padrona…”
“Sì, vive nei pressi del parco. Magari poi ricordamelo e ti scrivo l’indirizzo in un messaggio. Per quanto riguarda la padrona, credo di poterti dare molte informazioni, ma non ancora perché, diciamo, ci sto lavorando, se sai che cosa intendo.”
“Che cosa intendi?”
“L’ho trovata che stava uscendo dalla metro, le ho offerto da bere in un bar, e poco fa mi ha detto che, appena rientra dalla toilette, saliamo da lei per un altro goccetto. Andreas…? Andreas?”
Con l’unghia della zampa, Fumagalli pigiò il bottone di fine chiamata, visto che Andreas era pietrificato.
“Lo ha appena conosciuto,” disse dopo un minuto buono, “e se ne è andata con lui. Brian è un personaggio affascinante, lo ammetto, ma…”
Aveva un broncio da bambino delle elementari. Avrebbe fatto pena a chiunque, così Fumagalli gli si avvicinò:
“Senti, devo confessarti una cosa: è colpa mia.”
“Che cosa è colpa tua?”
“Quello che sta per succedere nella camera da letto della bionda.”
“Al più, è colpa di Brian, ma non lo incolpo nemmeno, perché non gli avevo detto nulla-”
“Gli ho chiesto io di sedurla. Dopo che ti ho fatto andare in salotto da Lalore, l’ho chiamato dal fisso e gliel’ho detto.”
“Tu avresti fatto cosa?”
“Non urlare, perché se Lalore ti sentisse, avresti molto da confessarle e, forse, da perdere.”
“E perché l’avresti fatto?” chiese Andreas con un tono di voce più basso.
“Per te e per Lalore. Per cercare di farti entrare in quella zucca quanto tu sia fortunato ad averla.”
“Ma che cosa c’entra questo con la bionda?”
“Come che c’entra? Hai chiesto a Brian di cercare la sua identità!”
“Ma sì, tanto per… Non penso seriamente di poter tradire Lalore con lei.”
“Davvero?” chiese Fumagalli pieno di speranzoso entusiasmo.
“Ma scusa, come potrei? È la padrona di quella bestiaccia rossa!”
“Sei un idiota!” disse Fumagalli scotendo le penne, “e ti dirò anche una cosa: Viserys muore!”
Andreas rise:
“Non so di chi tu stia parlando, non ci ho capito niente con tutti questi personaggi de Il trono di spade.”
Fumagalli restò in cucina: con la ruota aperta non passava più per la porta.