La frase in scena

A Book of Chance – Prompt:

Vai nella tua libreria, chiudi gli occhi e prendi il primo libro che tocchi. Apri il libro in una pagina a caso, leggi la prima frase completa su quella pagina e usala come ispirazione per una storia o una scena.

“Onestamente,” disse Andreas un sabato mattina, stravaccato sul divano, a guarducchiare una partita di curling, “penso che il prompt di questa settimana abbia una struttura molto banale. Nessuna chiara indicazione del tema che bisogna sviluppare, ma un completo affidamento al caso. Tutti gli aspiranti autori avranno chissà quanti libri da cui prendere una pagina a caso. Puoi immaginare quante possibili storie potrebbe sviluppare un singolo scrittore?”
“No, però forse qualcuno potrebbe calcolarlo. Stai tranquillo, e vediamo dove ci porta,” gli rispose distrattamente Fumagalli appena ripose il pennello su un supporto per mestoli da cucina, che Andreas gli aveva sistemato per terra. Poi mosse la testa per avere punti di vista a diverse angolazioni della tela che stava dipingendo.
“Spero sia una frase che conduca a una bella scena di sesso,” continuò Andreas, “magari con una bella sconosciuta, come può succedere a Brian.”
“Che cosa ti dico sempre? Che Lalore è…?”
“Sì, lo so, è tanto brava, ma posso fantasticare? E poi oggi non vado forse con lei a quel suo torneo di pallavolo benefico?”
“Ma non girarmi la frittata: ci vai perché sai che lei e le sue colleghe del torneo sono carine e speri di vederle in pantaloncini corti e stretti.”
“Fumagalli! Tu mi sottovaluti.”
“Decisamente,” disse, e riprese il pennello per dare altre pennellate di blu nel cielo.
Andreas rimase in silenzio davanti al curling in televisione, fino a che la porta di ingresso dell’appartamento non si aprì. Era Lalore, che era uscita per un po’ di spesa.
“Ragazzi, non crederete ai vostri occhi. L’ho visto in offerta, perché oramai il Carnevale è passato,” annunciò euforica mentre cercava qualcosa nel carrellino della spesa. Poi, trionfante, lo mostrò: era un involucro di plastica trasparente con un’etichetta di carta che ritraeva un bambino travestito da giullare.
“L’hai detto anche tu che Carnevale è passato: che scherzo è questo?”
“Non è uno scherzo, e tu non c’entri. Fumagalli, vorresti essere la mascotte della nostra squadra? Certo, noi abbiamo scelto i colori blu e grigio, e questo costume è blu e argento, ma più o meno ci siamo.”
Fumagalli smise di nuovo di dipingere il suo quadro.
“Io? Una mascotte?”
“A parte che saremmo una delle poche squadre ad averne una, ma un pavone per mascotte… Sarebbe fantastico.”
“Accetto volentieri,” le disse.
Lalore sorrise e scartò l’involucro:
“Tu continua pure a dipingere, mentre io ti sistemo il costume.”
Così Lalore si mise al lavoro, con forbici, ago e rocchetti di cotone. Essendo Fumagalli molto più piccolo di un bambino di dodici anni, Lalore tagliuzzò molti triangoli di stoffa che, a parer suo, una volta attaccati qua e là sul costume, lo avrebbero reso molto vivace e ideale per una competizione come quella alla quale lei avrebbe partecipato nel pomeriggio.
“E per pranzo?” chiese a un certo punto Andreas.
“Aspetta, non vedi che ho sbagliato la misura del collo? Con uno scollo così piccolo si sgualcirebbero le piume e sarebbe un peccato… Là, ecco fatto. Adesso ci cucio su questi altri due triangolini, così non si vede dove ho allargato… Direi che così va bene.”
Quando Fumagalli si guardò allo specchio, commentò:
“Potresti non buttare via il costume, dopo il torneo? Vorrei farmi un autoritratto così.”
Lalore lo carezzò, poi andò in cucina a preparare un pasto veloce, visto che a breve sarebbero dovuti andare alla palestra dove il torneo si sarebbe svolto. Lì Lalore lasciò Andreas e Fumagalli in un angoletto dove c’erano altre persone legate alle giocatrici della squadra del Palazzo Reale, dove lavorava Lalore.
Fumagalli riceveva complimenti da ognuno, anche da persone che apparentemente erano di squadre avversarie.
“Mi sa che la frase della Robi riguarda te,” gli disse Andreas, “e comunque, per tornare su un vecchio prompt, mi sa che ti stai un po’ pavoneggiando, nel vero senso del termine.”
“E pensa che non ho fatto la ruota. Se la squadra di Lalore dovesse vincere, la farò completa per festeggiare.”
Infine, il torneo cominciò e Andreas, amico della giocatrice e della mascotte, poté restare su una delle panchette adiacenti al campo di gioco, invece che sugli spalti.
“Cavoli,” disse guardando le otto squadre che giocavano in parallelo, “quasi quasi torno a casa a vedere il curling in televisione. Magari potrei appassionarmi e chiedermi chi vincerà le olimpiadi.”
“Lo dici perché le ragazze sono in leggings e non in pantaloncini.”
“Sembrano ballerini in calzamaglia. Roba da… Ehi, ehi!”
Andreas si alzò.
“Che c’è? Che cos’hai visto?” chiese Fumagalli, che non poteva aumentare la propria visuale facilmente come l’amico.
“La bionda, quella che ti ha tolto i quadri dalla mostra!”
Andreas si voltò verso Fumagalli: era notevolmente stupito dall’assenza di reazione da parte dell’amico. Questi intuì il dubbio, e spiegò:
“Mi sono appena reso conto che con il costume non posso muovere le penne dorsali.”
Andreas pensò che quello era un chiaro segno: senza il suo grillo o, nel suo caso, pavone parlante a scuotere le penne per ricordagli quanto Lalore fosse adorabile, aveva il via libera per parlare un po’ con la bionda.
“È una frase d’amore! La frase presa a caso si sta rivelando essere per me!” disse.
Si voltò verso la bionda, ma non la trovò più: era ora a pochi metri da loro.
“Fumagalli, è per me! È per me,” disse Andreas, non facendo capire se si riferisse ancora alla frase o alla bionda.
“Ciao,” esordì la donna, guardando verso Fumagalli, “quando Lalore mi ha detto della mascotte che ha la sua squadra, ho capito che forse eri tu. Mi spiace per quanto successo alla mostra. Niente di personale.”
“Capisco,” rispose Fumagalli, “anche se penso che oggi siamo di nuovo avversari, mi sembra di capire.”
La bionda rise, guardando la propria maglietta arancione.
“Comunque, io sono sempre Andreas, mentre tu sei…?”
“Dopo, sono qui soprattuto per chiedervi se avete visto la mascotte della nostra squadra. Non la trovo più e la sto cercando da un pezzo.”
“Ne avete una anche voi?” chiese Fumagalli.
“Sì, ma chissà dove si è cacciata… Scusate, devo trovarla prima che si metta in qualche guaio.”
Andreas si sedette sulla panchetta.
“Le ho parlato. Appena torna con la sua mascotte-”
“Stai zitto! Non si tratta così Lalore. Sei soltanto fortunato che la Robi mi ha fatto troppo leale per farti da spia. Ma se questa frase dovesse essere davvero legata a te e quella bionda, bada bene, farai i conti con me.”
“Non potresti fare nulla e lo sai bene, perché se la frase fosse quella, non avrei libertà di scelta, ma sarei pilotato a fare ciò che la Robi ha deciso per me, per soddisfare quanto ha scelto nel libro che ha pescato dallo scaffale, o da dove diavolo tiene i propri libri conservati.”
Andreas parve voler dire altro, ma sbiancò e non disse altro.
Fumagalli guardò che cosa aveva traumatizzato l’amico: era ancora la bionda, ma ora aveva in grembo ciò che era chiaramente la mascotte della sua squadra, perché aveva un foulard arancione annodato al collo. Un gatto arancione. Odoacre.
“Quel bastardo! E guarda come le sta attaccato alle tette! Forse… forse…” balbettò Andreas, “forse questa storia è legata a una frase di vendetta, non di sesso.”
La bionda passò accanto ad Andreas e Fumagalli, e Odoacre, aderente al suo petto, salutò giocondo.
“Dici?” chiese Fumagalli.
“No, nemmeno,” rispose Andreas pensoso, mentre guardava il sedere della bionda allontanarsi, “se così fosse stato, la Robi mi avrebbe creato le condizioni per l’una o l’altra cosa. A questo punto mi chiedo quale sia stata la frase che le ha ispirato questa storia…”

Doveva ancora attaccare gli ultimi triangoli per dare una forma allo scollo dell’abito blu e argento, che ora però era veramente piccolo.
(da Il castello errante di Howl, La trilogia, pagina 167)