Tratto e ritratto

Fourth wall – Prompt:

Scrivi una storia o una scena nella quale uno o più personaggi sanno di essere nella storia. Da quanto lo sanno? È per loro importante?

Era una sera come le altre, nel salotto di casa. Andreas stava armeggiando con il computer per poter poi vedere con Lalore una puntata de Il trono di spade, mentre Fumagalli stava portando avanti un suo personale progetto per Mirtilla: un ritratto. Ci stava lavorando da qualche giorno, ma si vedeva che il risultato finale sarebbe stato molto delicato e luminoso.
A un certo punto Fumagalli si fermò, poggiò il pennello ed esaminò la tela da più angolazioni. Apparentemente soddisfatto, fece poi qualche passo verso Andreas, per una piccola pausa.
“Io penso che la Robi sia stata effettivamente all’avanguardia, se ha di fatto non solo anticipato il prompt della settimana, ma pure portato avanti l’idea fin dall’inizio.”
“Mah, io penso invece che sia solo una coincidenza e, anzi, il sintomo di ben altro,” disse Andreas.
“Tipo?”
Andreas smise di usare il computer:
“Tipo… tipo di uno scrittore che si trova oltre la Robi, come del resto avevo ipotizzato quando avevo scritto il suo about. O, peggio, può essere sinonimo di un problema di memoria del supercomputer che sta facendo girare la simulazione nella quale si muove la Robi.”
“Teorie molto interessanti, ma credo che siano azzardate per una sola coincidenza che le è capitata.”
“Ovvio, ma che ne sappiamo noi? Magari gliene sono capitate nella sua vita reale o presunta tale1, ma poi è anche già successo qua nella nostra storia: ti ricordi l’episodio della supercazzola e della lingua bislacca? Anzi, proprio perché i casi si ripetono così di frequente, mi sento di dire che è un problema di memoria. O magari dell’algoritmo.”
Fumagalli lo guardò inclinando rapidamente il collo, per cercare di capire meglio. Andreas continuò:
“Hai mai sentito delle macchinette del gioco che hanno algoritmi scadenti e non danno numeri casuali? Anche qua: il caso non riesce a essere ben simulato. E, non per vantarmi, ma anche lo scenario della simulazione lo avevo elegantemente menzionato nell’about.”
“Fammi capire: stai dicendo che non solo non siamo reali noi, ma che potremmo essere il frutto di qualcosa che nemmeno lo è? Che siamo soltanto personaggi di seconda categoria, rami secondari di un soggetto non reale?” disse Fumagalli con la voce strozzata dal turbamento.
“Sapere che la Robi potrebbe essere un personaggio o una simulazione, cambia davvero la tua percezione di essere personaggio?”
Fumagalli tacque e, pensoso, tornò alla sua tela. La fissò per un minuto, poi rispose alla domanda di Andreas con un pacato ‘no’, e tornò a dipingere.
Andreas finì di sistemare tutto per la visione dell’episodio e poi andò in cucina, con il duplice scopo di prendere un bicchiere d’acqua e chiamare Lalore.
La trovò seduta al tavolo, che muoveva le dita sul telefono. Andreas riempì il bicchiere al rubinetto, poi le si avvicinò e disse:
“Vieni?”
“Sì. Due minuti.”
“Allora nel frattempo vado dal signor Cavalleri.”
Da quasi una settimana era diventato un appuntamento fisso, che si ripeteva non solo tutti i giorni, ma anche più volte nella stessa serata: a cadenza quasi oraria, fino alle 22:00, festivi inclusi, Andreas andava a citofonare al signor Cavalleri. E questi, con la stessa cadenza, non rispondeva, come pure quella sera.
Rientrò in casa e urlò:
“Uffa, non c’è ancora!”
“Non lo so, Andri,” gli urlò Lalore in risposta.
Fumagalli gli venne incontro:
“Forse il signor Cavalleri è in vacanza.”
“Va bene, però non avrebbe dovuto farci avere il pacco, prima di partire?”
“Non so proprio che cosa dirti… Forse potremmo chiamare l’amministratore o la polizia?”
“Per denunciare la scomparsa del pacco del decoder?”
Fumagalli non fece in tempo a rispondere: improvvisamente sentirono una sedia della cucina muoversi rapidamente. Lalore ne venne fuori e si diresse alla porta per mettersi le scarpe:
“Scusate. Non credevo che avrebbe voluto venire già stasera. Mi aspetta alla metro, vado a prenderla…” disse aprendo la porta di casa e scappando giù per le scale.
Andreas e Fumagalli rimasero all’ingresso in attesa del ritorno di Lalore, che avvenne dopo pochi minuti.
Non era sola: dietro di lei c’era la bionda.
E nemmeno la bionda era sola: in braccio aveva Odoacre.
Andreas restò a bocca aperta, Fumagalli urlò, mentre Odoacre balzò in aria e tentò di scappare per le scale. La bionda lo chiamò per nome, ma infine dovette rincorrerlo per poterlo riprendere.
Appena la porta fu chiusa, Lalore disse:
“Accomodati cara, vado a prepararti un caffè o una tisana.”
La bionda guardò Andreas e disse:
“Vengo con te. Pallino, resta qui con questi signori, la mamma torna subito,” e le due andarono in cucina.
I tre maschi rimasero così all’ingresso.
“Quando la mia padrona mi disse che una sua collega abitava con un artista, e che stavamo andando da loro, non potevo immaginare che si riferisse a te. È stato un brutto colpo, prima,” disse Odoacre rivolgendosi ad Andreas.
“Sono io, l’artista,” lo corresse Fumagalli.
“Ah, ecco. Mi sembrava strano.”
“Povero Pallino, si è stupito,” disse Andreas in tono di scherno, “anzi, si è proprio spaventato, il povero Pallino.”
Odoacre cominciò a soffiare, così Fumagalli intervenne:
“Perché non dici alla tua padrona di chiamarti con il nome che ti sei scelto?”
“Perché… perché ho perso!”
Fumagalli urlò, e Odoacre spiegò:
“Venni regalato alla mia padrona che ero ancora un cucciolo. Impazzì immediatamente per me: mi faceva le vocine, mi sorrideva, mi strapazzava… Con una vocina stridula, mi disse: ‘non sei il mio pallino? Eh piccolino?! Scommetto che non puoi negarlo!’ Ma io all’epoca non potevo parlare, figurarsi negare e quindi, per la legge del silenzio assenso, vinse lei. Anche se, quando ci ripenso, credo che si potrebbe obiettare sulla legittimità della scommessa. Ad ogni modo, sono un gatto di parola e, da allora, per lei devo restare Pallino. Anzi, non ditele che ho cambiato nome. E non accennate al mio vizio: lei non sa che gioco: pensa che vada in giro per gatte.”
“Non preoccuparti, Pallino. Per me non è un problema chiamarti Pallino. Pallino è un bellissimo nome, ti si addice.”
Odoacre soffiò ancora.
“Ragazzi, stiamo calmi,” disse Fumagalli inclinando la testa verso la cucina, come in ansia di vedere arrivare le due donne. Nulla, così disse:
“Lo sai che Lalore ha comprato un decoder della Asir Sat?”
“Mi fa piacere. La vostra donna ha un discutibile gusto in fatto di uomini, ma sembra in gamba.”
“Come sei gentile, Pallino. Glielo riferirò, Pallino. Grazie, Pallino.”
“Ragazzi, basta!” urlò Fumagalli e ordinò agli altri due di seguirlo in cucina.
Lì, le due donne erano sedute al tavolo, e chiacchieravano tranquillamente. Appena li videro, Lalore disse:
“Fumagalli, il motivo di questa visita sei tu.”
“Io?”
“Sì, perché ieri ho fatto una foto al ritratto di Mirtilla che stai facendo. Perché anche se non è terminato, si vede chiaramente la bellezza che ha in sé. E poi stai facendo una cosa estremamente romantica…”
“E quando Lalore ha condiviso il ritratto sul gruppo, per farci vedere quanto tu fossi dotato,” proseguì la bionda, “ho deciso che vorrei anche io farmi ritrarre da te, e che una di queste sere sarei passata per chiedertelo. Ed eccomi qui.”
“Un ritratto… vestita?” si intromise Andreas.
Fumagalli scosse le penne, mentre Odoacre soffiò.
“Certo,” rispose la bionda, “e come, se no? Vestita, e con Pallino in braccio.”
Fumagalli non disse nulla.
“Lo so che sei impegnato, Lalore mi ha detto che segui degli studenti-”
“Allievi.”
Odoacre guardò Fumagalli, e parve ammirarlo per quella sua risolutezza nei confronti della bionda, che continuò:
“Allievi. Verrei solo la sera, quando tu, Lalore e Andreas siete disponibili. Pagherei il materiale e l’impegno, ovviamente.”
“Io non dipingo su commissione, e meno che mai per soldi,” proclamò Fumagalli.
Lalore lo guardò e gli disse:
“Ti prego: non vuoi nemmeno pensarci su?”
Fumagalli la guardò per qualche secondo:
“E sia, però non imbriglierò il mio estro: vedrò che cosa mi ispirano i soggetti e la luce.”
Lalore sorrise e la bionda disse:
“Un ritratto artistico! Grazie mille! Posso?” chiese allungando la mano verso il collo di Fumagalli. Questi chinò la testa in segno di assenso, e si lasciò fare una carezza.
Andreas disse solo:
“Oggi vanno di moda i nudi artistici. Anche nella metro, con i manifesti per quello spettacolo teatrale-”
I rumori delle penne scosse e quelle del soffio lo zittirono.
La visita si concluse poco dopo e i tre padroni di casa accompagnarono gli ospiti alla porta:
“Allora, ci vediamo presto,” disse la bionda e, con in braccio Odoacre, scese le scale.
In quel momento, in senso opposto, stava salendo l’inquilino che viveva nel terzo appartamento del pianerottolo. Era un tipo sulla trentina, e odorava di kebab e nicotina. Passando, disse:
“Ah, déjà-vu!”
“Scusi, che ha detto?” chiese Lalore.
“Niente, ho avuto un piccolo déjà-vu. Prima è passato un gatto rosso per le scale, e adesso un altro uguale.”
Fumagalli urlò.
“Va be’,” disse Andreas, “visto che mi trovo…” e citofonò al signor Cavalleri.
L’altro vicino, che stava facendo fatica a trovare prima la chiave, e poi il buco della serratura, disse laconicamente:
“Non c’è.”
“Chiaramente,” constatò Andreas.
“Lei sa perché?” domandò Lalore.
“Non lo sapete? È stato ricoverato in ospedale la settimana scorsa.”
Gli occhi di Andreas si allargarono per lo spavento.
“Che gli è successo?”
“Stando alle voci che girano, è caduto da una scaletta sulla quale si trovava per sistemare su una mensola un pacchetto che aveva ricevuto la scorsa settimana,” disse, mentre stava ricominciando la ricerca di chiave e buco della serratura visto che, nel mentre, il mazzo di chiavi gli era caduto.
“Ma è vivo, vero?” disse Andreas, non facendo nulla per nascondere la sua preoccupazione, “tornerà a vivere qui con noi, giusto?”
L’uomo annuì e, finalmente, entrò nel proprio appartamento.
Anche i tre rientrarono in casa:
“Allora, cominciamo a vedere l’episodio?” chiese Andreas.
“Io l’ho déjà vu,” disse Fumagalli.

  1. L’autrice conferma